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Il buco

Regia di Jacques Becker vedi scheda film

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La recensione su Il buco

di pazuzu
10 stelle

In un'autofficina all'aperto, un uomo chino sul motore di una Citroen 2 CV col cofano alzato molla gli arnesi, si volta, si avvicina alla telecamera e annuncia: «Buongiorno, il mio amico Jaques Becker ha ricostruito in tutti i dettagli una storia vera: la mia. Accadde a Parigi nel 1947, nella prigione della Santé». Il nome che ha scelto improvvisandosi attore è Jean Keraudy, quello vero Roland Barbat, e quello del suo personaggio, non a caso assai poco dissimile, Roland Dardant: il suo quarto tentativo di evasione (dopo tre perfettamente riuscite), documentato nel romanzo autobiografico Le Trou (Il buco) dal compagno d'avventura (e di reclusione) José Giovanni, è ciò che il regista Jacques Becker decide di narrare nel presente omonimo film, facendosi aiutare dallo stesso Giovanni, olre che da Jean Aurel, a tradurre il testo originario in una sceneggiatura.
Terminata la breve introduzione il racconto corre subito indietro all'epoca dei fatti, mostrando il trasferimento di Claude Gaspard, un giovane piccolo borghese accusato del tentato omicidio della moglie, che da un reparto in ristrutturazione viene spostato in uno 'abitabile', a far compagnia ad altri quattro detenuti in attesa di giudizio: quattro uomini che condividono una cella ed il miraggio della libertà, e che non potendo contare sulla giustizia, che con ogni probabilità li condannerebbe a scontare ancora diversi anni, hanno pianificato una fuga per realizzare la quale dovranno scavare un foro che da un angolo del pavimento li porterà nei sotterranei e poi alle fogne prima di raggiungere la strada e dunque l'esterno. Oltre al succitato Roland, pragmatico abile e fantasioso stratega del gruppo, sono Vossellin, il più anziano, affabile e ciarliero, chiamato da tutti Monseigneur per via della sua parentela con un prelato, Geo Cassine, eroe di guerra profondamente legato ai propri genitori, scontroso ma generoso, e Manu Borelli, aggressivo vendicativo e manesco, diffidente ma estremamente leale. L'arrivo del nuovo 'inquilino' li sorprende e li inquieta, obbligandoli di fatto a metterlo a parte del loro piano, non prima però di avergli fatto domande sulle ragioni della sua detenzione e di aver cercato di carpire il suo grado di affidabilità: dettosi entusiasta del progetto, Gaspard ne diviene quindi - giocoforza - parte integrante. Così, sfruttando nelle ore diurne il chiasso dovuto ai lavori in corso ed in quelle notturne la minor accuratezza dei controlli, ed utilizzando una gran massa di cartoni (richiesti in teoria per svolgere lavori manuali) per nascondere il buco che si accingono a creare, i cinque iniziano a scavare con l'obiettivo di esser fuori prima possibile ed evitare la chiamata in corte d'assise.

La visione di Le Trou non concede respiro, tanta è la suspence che Becker riesce ad infondere alla narrazione, lavorando con pochi mezzi ma una massiccia dose di talento e capacità tecniche. Partendo dalla rinuncia al commento sonoro (se si eccettua il breve brano per pianoforte che accompagna i titoli di coda), il regista punta su una messinscena asciutta e realistica, priva di orpelli ma attenta al particolare, affidandosi ad una macchina da presa statica ma non immobile, anzi reattiva e pronta a cogliere gesti, movimenti, espressioni e sguardi: come quando - in un esemplare piano sequenza lungo quasi quattro minuti di solo apparente semplicità - durante il primo scavo (il più audace), la incolla idealmente a una parete della cella inquadrando il pavimento e, a turno, le mani di Roland, Manu e Geo protese nervosamente a martellarlo con un oggetto metallico asportato dalla spalliera del letto e brandito a mo' di scalpello, senza disdegnare rapidi spostamenti verticali sui loro volti contratti e tesi, e facendo leva sul fragore ritmico e assordante dei colpi per rendere al massimo l'atmosfera di ansia, trepidazione e paura (oltre che di speranza).
Scegliendo di soffermarsi esclusivamente su ciò che accade nel carcere, Becker ne fa un universo chiuso nel quale riprodurre in scala le dinamiche dei rapporti umani e di classe, prende quattro individui diversi costretti a condividere ossigeno, cibo, pensieri ed ossessioni, e ne introduce nel loro microcosmo un altro ancor più diverso, probabilmente troppo. La convivenza sarà pacifica ed in apparente comunione di intenti, fino a quando l'indole non prevarrà, e l'occasione non mancherà di segnare l'immancabile confine che divide l'uomo onorevole dal vile.
Capolavoro irripetibile del cinema carcerario, Le Trou vede l'esordio di due future stelle del cinema francese (Philippe Leroy nel ruolo di Manu e Michel Constantin in quello di Geo) e, non accreditata, la breve apparizione di un'ancora quattordicenne Catherine Spaak (è l'unico personaggio femminile, Nicole, l'amante diciassettenne di Gaspard).
Girato negli ultimi due anni della propria vita da un Jacques Becker malato di cancro, il film uscì a meno di un mese dalla sua morte, ma l'iniziale insuccesso convinse il produttore Serge Silberman e i distributori francesi a ritirarlo temporaneamente dalle sale patrie per riproporlo al pubblico scorciato di circa venti minuti; trattandosi di una coproduzione franco-italiana, vide la luce anche in Italia e per di più in versione integrale (della durata di 140 minuti), ma la relativa edizione in vhs firmata Mondadori è ormai un reperto introvabile: non essendo ad oggi disponibili sul mercato edizioni non tagliate, non c'è modo dunque di apprezzarlo nella sua interezza se non affidandosi alle (quasi) infinite potenzialità del web.

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