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La prima notte di quiete

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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Utente rimosso (signor joshua)

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La recensione su La prima notte di quiete

di Utente rimosso (signor joshua)
10 stelle

La cosa che può salvare Daniele da un rimorso che lo porterà alla morte, è una sola: la poesia. Per questo scrive, per questo si è rinchiuso nella sua solitudine, prigioniero nella sua casa, e vive con una moglie che si è trasformata in una prostituta senza stipendio, ma che ha suo marito per magnaccia e la sua casa come bordello. La poesia è l'unica cosa che può portarlo a credere di poter rendere giustizia al suo antico amore, defunto a causa sua, e per cui ha sacrificato tutto il resto di se stesso, impedendosi di provare anche un minimo sentimento di felicità, senza mai trovare riposo, ma andando a cercare in altri luoghi del mondo una pace, che può essere trovata solo con la propria redenzione. L'arte, dunque, diventa la sua silenziosa ossessione, una chiave di lettura indecifrabile per il mondo e per la propria personalità, che serve ad illuderci in una salvezza che non arriverà mai, se non per nostra volontà, ma il problema sta proprio qui: Daniele cerca una via di scampo nell'arte, ma in realtà lui non vuole essere salvato, perché si sente colpevole nei confronti di quello che è successo, quindi, in effetti, non potrà mai uscire da questo suo stato. Solo una cosa lo può aiutare, arrivati a questo punto: la frase di Goethe, quella con cui ha intitolato il libro di poesie dedicato al suo amore, che sta rappresentare la pace eterna, un sonno tranquillo, pacifico, che non porta più i sogni e gli incubi e che, quindi, non fa più riaffiorare i ricordi terribili e strazianti del suo passato, in una parola, la morte. E questa, viene vista come una liberazione un po' da tutti, Zurlini, Delon, Goethe, poeti ed artisti vari, dalla disperazione della vita di tutti i giorni, irrimediabilmente compromessa. In questa mentalità, tutto naviga in una specie di oblio lucido, ed anche l'incontro con l'angelo della morte Valina, degna figlia spirituale di Stendhal, non esce da questa cupo schema, che elenca i giorni e gli avvenimenti facendo il conto alla rovescia per i momenti che mancano alla fine. Perché anche lei, che appariva così speciale, così disperatamente afflitta, così simile al professore, si rivela essere semplicemente quello che appariva: una bambina, sfruttata da una madre che la costringeva a prostituirsi, svenduta anche agli amici più cari col stessa arroganza e la stessa assenza di umanità tipiche della borghesia riccona del post Sessantotto, a cui lei stessa appartiene, suo malgrado. Tutte le apparenze, coperte da tanti misteri emotivi, vengono celate anche dopo la conclusione della vicenda, ma contemporaneamente erano già state svelate dal principio: il professore e la sua distruzione interiore, Valina ed il suo fascino tenebroso, tutto viene conservato con la stessa integrità anche dopo la scoperta dei passati di entrambi (“tanto passato, poco presente, niente futuro”). C'è solo un personaggio che ne esce cambiato, e che utilizza una tragedia irrisolvibile a suo favore, e come esperienza: Spider, che rivelandosi ben più profondo di quanto non lasciava intravedere, fa da fautore del destino di entrambi i protagonisti, scatenando dentro di se prima il dubbio, poi la frustrazione, ed infine la redenzione; e dopo il funerale di Daniele, poi ricominciare da capo, senza utilizzare il denaro per chiedere perdono, ed uscendo da uno stile di vita ingiusto e criminoso. Tutto questo gigantesco materiale, viene trasportato una Rimini fredda, desertica, glaciale, insensibile, lontana anni luce dai colori e dai fronzoli felliniani. E i vitelloni? Sono cresciuti, hanno capito che il mondo è davvero un posto terribile, hanno venduto la loro candida innocenza al denaro, al fascismo, al consumismo, ed al commercio di esseri umani, trasformandosi nella feccia borghese che si muove infetta deridendo il mondo proletario, e che si sta preparando a distruggere, ancora una volta, i valori umani più preziosi. E non ci sono santi, tutto segue il suo percorso distruttivo come un treno lungo i binari della perdizione, Zurlini demolisce, con molta tranquillità, anni ed anni di rappresentazioni derisorie e campanilistiche di una città che si è sempre vista mettere in scena come un luogo piacevole: io ci sono stato da poco a Rimini e la volete sapere una cosa? È una città triste, per quanto ricca, per quanto sfarzosa ed altolocata, è una città che mi ha messo un vero e proprio senso di desolante solitudine, imprimendomi nelle ossa un non so che di malinconico. Ma il film non si ferma a questo, descrive anzi una condizione umana terribile, l'amore più triste che si possa immaginare, schiacciando i personaggi sotto il penso di questa nube di gelo che non lascia scampo, il risultato? Uno dei film italiani (ma io lo estendo anche al mondo) più belli e ricchi della storia, un capolavoro assoluto e (per me) indiscutibile, dimenticato dai più (errore imperdonabile, spero che qualcuno lo riscopra), stilisticamente innovativo, emozionante, decadente, commuovente in tantissime parti, con un Alain Delon tenebroso in stato di grazia, Sonia Petrova che sembra un'apparizione mistica, Giancarlo Giannini sublime, Alida Valli terrificante e straordinaria, la fotografia di Di Palma magnifica, ed una colonna sonora Jazz dello stesso Ferguson, che accarezza le immagini con delicata introspezione. Siamo a livelli altissimi ed inimmaginabili, per un'opera che è avanti anni luce.

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