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La prima notte di quiete

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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La recensione su La prima notte di quiete

di LorCio
10 stelle

Il professor Daniele Domenici, sposato con l’infelice Monica, atterra chissà da dove in una Rimini spettrale ed uggiosa. Si innamora di Vanina, una delle sue allieve, nelle cui malinconiche espressioni avverte qualcosa di sensuale. Tra l’altro è la ragazza di uno dei suoi compagni di gioco d’azzardo, la cui gelosia si scatenerà quando scoprirà la relazione tra il professore e l’amante. Il misterioso uomo, alla fine, concluderà la propria parabola decadente nel modo più tragico. Con La prima notte di quiete (da un verso di Goethe che Domenici utilizza per intitolare la propria raccolta di poesie giovanili), Valerio Zurlini, al suo – purtroppo – penultimo film, realizza un racconto crepuscolare e funereo, il cammino in discesa di un uomo smarrito nella propria inquietudine (scritto assieme a Enrico Medioli).

 

Daniele Domenici è un eroe imperfetto che vive il suo tempo in modo indifferente, non ha rapporti sociali e si abbandona inusitatamente nel sentimento d’amore (ma sarà amore?) per una ragazza di pessima reputazione, quasi con l’intento di volerla salvare dalla morte (simbolica, ma anche no) dell’anima. Ma come può recuperare qualcuno proprio lui che è il primo ad aver bisogno di una scialuppa per salvarsi? A capire la natura nervosa di questo naufrago della vita (chiari i parallelismi con il mare romagnolo che si infrange in un’atmosfera desolata ed invernale) sono in pochi, forse neanche la stessa Vanina ne coglie l’essenza drammatica. È Spider (un grande Giancarlo Giannini), invece, l’amico di gioco, probabilmente innamorato, sicuramente affascinato da lui, ad indagare nell’oscuro passato di Daniele, quasi a svelare tutti i segreti che egli desiderava celare, o nascondere per sempre, come la permanenza in carcere per un anno.

 

O persino la moglie Monica (una malinconica Lea Massari), depressa e nevrotica, a cui sembra non interessare nulla del coniuge, ma che in realtà ne comprende l’afflizione sfuggente. Finanche nell’amplesso violento e troncato bruscamente che consumano in una camera da letto esangue. Insomma, un capolavoro di eleganza decadente ed volutamente stremata da tutto il resto, da tutti gli altri elementi che ne condizionano le caratteristiche, a cominciare da quella foschia plumbea che avvolge una Rimini lontana dai fasti felliniani e raramente così triste. E qualche eco del grande riminese è avvertibile nel disegno della combriccola dei giocatori, amanti del buon vivere e delle belle donne e dunque accostabili in un certo qual modo ai vitelloni di felliniana memoria. E poi è anche un interessante affresco sulla scuola di inizio anni settanta, con l’autogestione e gli scioperi, ma sono particolari che non riguardano l’esistenza di Daniele, anzi, ne mettono in risalto la freddezza verso il brulicante mondo esterno (legge Le monde).

 

Senza dimenticare che il protagonista si professa ateo, pur apparendo come una figura mistica, e che alla fine verrà celebrata in una cappella cristiana – ma la sorpresa finale non ve la sveliamo del tutto, anche se forse l’avrete intuita. Dario Di Palma colora la bigia fotografia in maniera raffinata e Mario Nascimbene sfodera trombe fastose e disperate per puntellare al meglio l’angoscia del protagonista. Che è interpretato in modo sublime da uno splendido Alain Delon, di cui si ricordano anche il memorabile cappotto di cammello – che quasi lo rende una icona, una figura difficile da dimenticare – e l’espressione febbrile, perduta, asciutta. Alida Valli regala un cammeo di indimenticabile violenza. In conclusione: leggete il testo di Domani è un altro giorno, la canzone interpretata da Ornella Vanoni che correda una scena fantastica ambientata in una discoteca. Spiega questo film magnifico meglio di qualunque altra cosa.

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