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La prima notte di quiete

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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La recensione su La prima notte di quiete

di Lehava
6 stelle

Il suono struggente e tormentato di Maynard Ferguson introduce ai titoli di testa di questo "La prima notte di quiete": sarà una presenza altalenante ed a tratti invadente, la tromba, in questo penultimo lavoro di Zurlini. Per una colonna sonora a firma Mario Nascimbene: ispirata ma come dire....superflua. Nella misura in cui il valore intrinseco (notevole) viene smorzato da un accostamento velleitario e banale alle immagini: il sax nelle scene morbide, le note acute del flicorno appunto sugli squallidi campi lunghi esterni: come "arie" descrittive un po' inutili che interrompono il ritmo e per altro alla lunga risultato esteticamente ripetitive ; l'utilizzo melodrammatico di "Domani è un altro giorno". La difficoltà insomma a trovare un proprio spazio (assonanza, contrapposizione?) rispetto ai sentimenti dei personaggi.

 

In una Rimini malinconica e crepuscolare si muove un uomo con aria tra il disperato e lo strafottente. Sarà quest'uomo il protagonista assoluto di una parabola decadente sulla inerzia, e la disillusione. Dove anche il dolore si fa noia e resta sospeso sopra un passato le cui dinamiche restano in parte oscure, ed un futuro che si indovina facilmente non esistere. Culminante nel finale ampiamente prevedibile nella sostanza (squallore, sconforto, pessiminismo regnano sovrani per tutti 132 minuti), frettolosa nella forma. Lo spettatore viene avvolto nella nebbia dei pochi accadimenti mostrati (al di là della supposta “lentezza” tecnica, 132 minuti restano troppi per raccontare questa “storia”), e degli altrettanto pochi sentimenti espressi. In qualche modo anticipando tematiche che saranno sviscerate, con tutt'altro registro certo, nel film che lo stesso regista girerà da lì a qualche anno con esiti stilistici ed espressivi straordinari: "Il deserto dei Tartari".

"La prima notte di quiete", della suddetta futura straordinarietà, pone in qualche modo le basi. Ma non ricava esiti. Fermandosi ai presupposti: nomi importanti tra gli interpreti, regista capace, bravo compositore, buon fotografo .... Rimanendo ancorato ad una mediocrità generale. Colpevole, per prima la sceneggiatura. Alcune “in-probabilità” oggettive da sole inficiano ogni possibilità di credito: un uomo che indossa sempre un cappotto, anche negli interni, in discoteca, in casa … Avrà problemi circolatori, ci si chiede, soffrendo così tanto il freddo? In verità lo toglie quel cappotto, almeno un paio di volte: nelle scene “d'amore” o aggrovigliamento se vogliamo. E' ovviamente una scelta dovuta: Daniele Dominici è di passaggio ovunque nella sua vita. Perchè dunque spogliarsi? Ok, però la praticità della scelta stessa sfugge. Come a dire, un professore che viene valutato dal preside sulla base del curriculum vitae; che sceglie una sede di insegnamento (non so, a me, non è mai capitato); che dopo un accenno iniziale pare smarrire qualsiasi necessità lavorativa (tutto impegnato a fare altro, non si capisce come possa fare a trovare il tempo per presentarsi a scuola!). Una madre signora dai “facili costumi” con evidenti problemi economici che, in questo inizi anni settanta, sfrutta la propria figlia ma spreca poi le poche risorse per mandarla in un liceo classico (costoso) senza controllarne esiti né avere un programma di impiego futuro o magari anche solo una speranza di innalzamento sociale che non sia il matrimonio per il quale, si intende, l'istruzione non era poi così necessaria.

Ad esse si aggiungono stereotipi al limite dell'imbarazzante: il fidanzato geloso, stupido e ricco; la ragazza silenziosa e quindi misteriosa; l'eroe senza macchia; l'amour fou; l'amico solo all'apparenza “cattivo” …..

Tutto ciò è espresso in dialoghi che oggi appaiono datati: nel migliore dei casi mancano di ritmo, nel peggiore sono proprio brutti. Vero è che, riascoltandoli, quasi tutti i peggiori sono fra il protagonista e Vanina. Le scene iniziali in classe con interrogazioni che paiono sedute psicanalitiche; davanti ai delfini: “Non eri mai venuta?” “No” “Dovevo arrivare io per farti scoprire la meraviglia di questa cosa?”; le modalità a sentenza pre-costituita seduti ai tavoli di un ristorante (il cui conto non sarà stato facile da pagare per uno che non ha i soldi della benzina e la cui macchina quella benzina persino la perde!): “Sempre così?” chiede lui riferendosi alla tristezza della ragazza. “Sempre” risponde lei. …. “Racconti spesso bugie?” le domanda l'uomo “Quando sono necessarie. E lei?” ribatte la ragazza. “Quando sono indispensabili”...”Vado da mia sorella: è sposata, ha due bambini ma non ha una vita facile” (e chi mai?). Quando i due finalmente si rivedono nella macchina, sotto la pioggia, di notte: “Quando sei tornata?” “Un'ora fa, con il primo treno. Mi tieni con te.”

Dunque, la mancanza di ritmo: le scelte registiche (soprattutto per un professionista colto come Zurlini) appaiono inspiegabili. Si perde in primi piani continui, spesso muti. Questo può andar bene su Giannini, che qui fornisce una prova sopra le righe, urlata. Ma sa recitare, e si vede. Va sicuramente bene su Lea Massari: a mio avviso la migliore del cast. E persino, ohibò, su Alain Delon. Che come attore continua a non convincermi del tutto, ma che, ribadisco (come scrissi in tempi non sospetti relativamente ad un lavoro di Visconti) resta forse la faccia più bella che si sia mai vista al cinema. Ma dà esiti pessimi su Sonia Petrova: che attrice non era (bensì ballerina) e, purtroppo, si vede. Bella, bellissima, con quegli occhi da cerbiatto sapientemente sottolineati dall'eyeliner e la boccuccia capricciosa. Ma poi? Non le riesce una espressione (nemmeno l' apatia le riesce!)e nei silenzi, questo è un peccato mortale. Quello che nei dialoghi dovrebbe essere riempito dalla interpretazione corporea, manca del tutto.

E non a caso, in questo “La prima notte di quiete” sono i sentimenti più teneri che latitano: l'amore struggente ed impossibile se c'è, non si vede. Non vibra, non emoziona.

I comprimari? Alida Valli incisiva ma sprecata (presente sullo schermo 2-3 minuti), Salvo Randone paga la scrittura dell'ennesimo personaggio stereotipato (il preside rigiso), inutile Renato Salvatori, orridi Adalberto Maria Merli e Nicoletta Rizzi.

La mancanza di ritmo: nel perdersi in sequenze che poco hanno a che fare con il contesto, o meglio, che nel contesto non riescono a starci: su tutte, Monterchi. E quello che avrebbe dovuto essere un ragionamento sulla purezza ed il miracolo della vita, e che invece ne viene fuori come un ammasso informe di citazioni, sorrisetti e sguardi fuori luogo.

E dove sta in tutto questo Zurlini? I movimenti della macchina sono scontati: l'intreccio di occhi e corpi nella scena della discoteca, la poca originalità e verosomiglianza in cui vengono girati gli amplessi, i fotogrammi fissi dopo la notte passata insieme fra i protagonisti, la scazzottata, la cornetta lasciata mollemente appesa al filo …. Mi verrebbe da rimarcare che, in definitiva, fa e dice tutto lui: “…La prima notte di quiete è un verso di Goethe, è la morte. Esprime l’idea che l’uomo nella sua traversata della vita ambisce a un riposo che solo la morte potrà dargli. Ma parlare di questo film non mi è molto gradito; era un film pieno di cose, di cose che giudico importanti, e che nel film invece non ci sono. All’origine, si trattava del terzo episodio di un film che non ho potuto fare, che non mi hanno lasciato fare, ‘Il Paradiso all’Ombra delle Spade’… Ed era una sceneggiatura molto bella. La necessità di avere una coproduzione e di avere Delon – la presenza di Delon, la volgarità di Delon – mi ha costretto a considerare solo in parte il copione e le ambizioni del progetto. Da un certo momento in poi ho solo cercato di finire alla svelta, più alla svelta possibile. La lavorazione di quel film è stata semplicemente una tortura.” (Valerio Zurlini in “Il cinema italiano d’oggi” di Faldini & Fofi, Mondadori 1984).

 

Cosa resta dunque? Beh, sicuramente un film “d'atmosfera” con grande cura per scenografie ed ambientazioni. La fotografia centra bene l'obiettivo di rendere la decadenza che si fa squallore di una storia di ordinaria disperazione di provincia. Alcune tematiche (la presunta infatuazione di Spider, la fuga da una eredità familiare di gloria, l'abuso delle sostanze, il ruolo della donna) persino in anticipo sui tempi. Resta un film che si può racchiudere in un aggettivo vuoto (vuoto perchè può essere riempito di tutto): "esistenzialista". Con grandi “irrisolti” come i suoi personaggi. Che avrebbe potuto essere un capolavoro, ma che oggi risulta più che altro vecchio.

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