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La notte dei morti viventi

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su La notte dei morti viventi

di champagne1
8 stelle

Mentre Barbara e suo fratello Johnny arrivano al tramonto di una fredda giornata di dicembre a visitare la tomba del padre, il giovane ricorda alla sorella lo scherzo che le faceva da bambino, quando la tormentava con le storie dei morti che vogliono rapire le ragazzine. Proprio in quel momento si avvicina loro uno strano uomo, e Johnny che nota i suoi movimenti lenti e impacciati,di nuovo stuzzica Barbara dicendole che quello è un morto che la sta cercando, mettendola in grande ansia. Quando poi quell'uomo davvero aggredisce la coppia con Johnny che ha la peggio, Barbara fugge in preda al panico e si rifugia nella casa colonica del cimitero, apparentemente disabitata.

Ma presto altri esseri come quello di prima si avvicinano minacciosi ....

Romero esordisce col botto nel 1968. Forse voleva solo fare un B-movie a basso costo (10.000 $, tanto che dovette reclutare degli attori poco conosciuti se non amici con piccole esperienze cinematografiche), ma si ritrovò alla fine nelle mani qualcosa che esplose nell'immaginario collettivo, sorprendendo la critica americana che lo aveva inizialmente stroncato per poi rivalutarlo successivamente. Il pubblico lo premiò immensamente, dato che al botteghino si portò a casa quasi 20 milioni di dollari (in tutto il mondo), al conio di 50 anni fa.

Ma soprattutto, come un altro film coevo di un tale Stanley Kubrick (2001: A space oddity) nei confronti della fantascienza, Romero mette le basi per un nuovo modo di interpretare un filone (in questo caso di cinema horror), (ri)creando questo personaggio-cult dello "zombie", per quanto lui non usasse mai questo appellativo, preferendo chiamare i suoi personaggi appunto "morti viventi".

E visto che eravamo in piena corsa nello Spazio, la causa del fenomeno nel film vedeva un'interpretazione più cosmica (radiazioni spaziali portate da una sonda tornata da Venere) piuttosto le interpretazioni biologiche (in genere "virus") delle pellicole a venire.

Ma intanto sin da allora ipotizza una sceneggiatura da sviluppare in più film (10 anni dopo ci sarà il sequel).

E nelle fredde sequenze in bianco e nero, che sposano benissimo sia il topos dell'assedio che una certa crudezza delle immagini di cannibalismo, con un gioco di luci che ricordano certi film ancorché sgranati degli anni '20, si crea un pathos che dura fino alla fine: un finale che lascia l'amaro in bocca allo spettatore.

 

In molti ci hanno voluto leggere qualcosa che andasse oltre il puro divertimento narrativo, ricordando anche l'epoca in cui la pellicola si colloca: da una critica verso l'ostilità nei confronti dei diversi a una metafora della guerra in Vietnam; dall'uso indiscriminato delle armi (vedere l'ultima scena) a una posizione anti-consumistica (in realtà molto più presente nel sequel).

 

Certamente rivoluzianario fu affidare nel 1968 il ruolo di protagonista a un nero (nella trama anche in antagonismo a personaggi bianchi) e questo non fu un caso ma un vero e proprio gesto politico, come più volte il Regista ebbe ad affermare, ricordando all'epoca il recente assassinio al rev. Martin Luther King, e volendosi posizionare molto esplicitamente nell'acceso dibattito sulla questione razziale.

Interessante inoltre l'uso dei media nel film, allora solo radio e TV, tramite cui  - per la successione delle notizie esposte con la asettica compostezza dei notiziari - lo spettatore comincia a delineare meglio il contesto del problema, aumentando di volta in volta la sua angoscia.

 

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