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La notte dei morti viventi

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La notte dei morti viventi

di frankwalker
8 stelle

Quando ogni inizio comincia da una fine.
Alla regola non sfugge nemmeno il battesimo cinematografico di un giovane regista, George A. Romero, in seguito destinato a faticare all’interno del system americano, avido nella distribuzione di ogni sua fatica.
In questo senso, l’anno in cui esce “La notte dei morti viventi”, il ’68, è di sintomatica importanza non solo per il contesto socio-politico che lo tramanda alla storia, ma anche per quello culturale, tanto più se il discorso concerne, nella fattispecie, una nuova era cinematografica: quella americana, indotta com’è a ripartire daccapo, prediligendo volentieri progetti a budget ridotto (anzi, ridicolo) senza rimetterci nulla, ogni volta sbancando botteghini, ma col più che gratificante esito di raccontare principalmente una storia, ora tesa ora emozionante, ma pur sempre una storia.
Ogni inizio comincia da una fine, si diceva, e “La notte dei morti viventi” – la cui piena riuscita conferma un nuovo talento, consegnandolo agli annali del cinema di genere orrorifico – sembrerebbe ripartire da dove aveva lasciato il cult di Don Siegel di dieci anni prima, “L’invasione degli ultracorpi”. La lucida metafora di quel film, però, abbracciava il senso di un’immotivata paranoia collettiva verso un’invasione aliena quale imminente pericolo “rosso”.
Qui, per contro, il discorso sembra caricarsi d’iperbolica sfumatura, essendo il ritorno sulla terra dei morti viventi causato da una radiazione, una sonda che ha investito Giove. Ma quello che potrebbe essere (ed è, di fatto) uno spunto politico venato di sulfureo sarcasmo, nelle mani di Romero, diventa anche l’occasione per fare della rancida ironia sull’effettivo senso di quell’intolleranza ineluttabile che contraddistingue la provincia americana (come mostra lo spiazzante, paradossale epilogo).
E così – parafrasando quanto ne scrive Roy Menarini nel suo bel saggio sull’argomento – il cinema degli alieni inaugurato negli anni Cinquanta trova il proprio ideale proseguimento in uno sconfinamento nel genere ‘horror’, riuscendo a far luce su un determinato aspetto della realtà circostante attraverso un intelligentissimo dosaggio della tensione, sempre intuita e mai mostrata, facendo leva – esattamente come i grandi maestri di serie B – sulla povertà dei mezzi a disposizione.
Un discorso, quello de “La notte dei morti viventi”, peraltro destinato a proseguire coi più esplicitamente sanguinolenti “Zombi”, “Il giorno degli zombi” e il recente “La terra dei morti viventi”: l’isteria fagocita il Sistema a stelle e strisce, l’intolleranza divora il sogno americano (o supposto tale). L’America mangia sé stessa: di rigore, lo sguardo di Romero verso detto aspetto diventa una mirata, personalissima “politique”.
Tuttavia, l’occhio sempre ferocemente critico e sarcastico del cineasta – dovendo misurarsi coi gusti di un pubblico frattanto cambiato e coi definiti paradigmi di un cinema, pure, rinnovatosi pian piano – sovente farà un uso del “grand-guignol” tanto eccessivamente insistito quanto non esattamente accessibile alle anime più candide. Senza però rinunciare a quell’intensità narrativa e a quella capacità di creare un clima allucinato che fanno de “La notte dei morti viventi” una pietra miliare non solo del cinema horror contemporaneo, ma anche di quello dell’ultimo trentennio (l’omaggio che ne dà il Carpenter di “Fog”, ma si pensi anche a “Distretto 13: le brigate della morte”), includendo i “remake” più o meno dichiarati, dagli esiti spesso modesti.
Nondimeno, un discorso tanto condito di sanguinoso sarcasmo – da parte del regista, strumento di estremizzata, esasperata dissacrazione verso bersagli di vario assortimento, non ultimo il consumismo – si sarebbe rivelata la principale ragione per cui, come altri illustri colleghi, Romero avrebbe faticato a trovare un proprio margine indipendente di attività nella produzione dell’ultimo decennio.

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