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Ultimo tango a Parigi

Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film

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La recensione su Ultimo tango a Parigi

di EightAndHalf
10 stelle

L'assurdità del quotidiano di un mondo già invecchiato. Nouvelle-vagueiano atto di Resistenza. Morte del Cinema, Rinascita tramite il peccato, la più grande e la più vera bugia, come un nascondersi dietro le tende, o l'allontanarsi dietro uno specchio opaco che consegna solo sagome sformate: la desolazione baconiana dei corpi deformati, coricati o seduti su una sedia, come un uomo e una donna nell'atto più assurdo, forse proprio vivere e negarsi di vivere. Il percorso di un autoannichilimento che cerca Verità nell'assenza di ricerca di un gigantesco appartamento, in cui il Cinema ver(amente fals)o può mettere in scena la sua nuova commedia-tragedia-operad'azione-musical-operaerotica, il nuovo Sogno che sta in un'altra dimensione in cui collimano tutte le sensazioni e tutte le riflessioni quotidiane ed esistenziali sul proprio Io nell'attimo dell'esserci e non dell'esistere in casa propria, con la propria governante, con il proprio fidanzato, come se da tempo afferrare il diem non fosse più probabile e se ne riproponga la possibilità, feconda ed evanescente. Perché ciò che succede fuori da quel sogno carnale "fa schifo", perché fuori la deformità si riveste di borghesia, di serietà, di giudici di ballo e di città affascinanti, mentre dentro può esprimersi direttamente con un corpo nella posizione più strana sul pavimento e con corpi nudi di uomini e donne che, nell'atto comunemente considerato 'il più maturo', tornano a una tale semplicità da 'tornare bambini', come dice Maria Schneider tenendo in mano il fallo/cazzo/pene/minchia di Marlon Brando sotto la tappa dei suoi pantaloni. In leggeri e sottilissimi scambi di ruolo (lei a petto nudo e jeans, con tanto di cravatta, [oppure nuda] e lui sempre gelosamente vestito davanti ai nostri occhi, se non quando, fuori, può finalmente espletare quel già citato atto di Resistenza che è Vita che sa di dover morire mostrando[ci] il didietro), uomo e donna sono colti in un microcosmo di una civilità in potenza ma non in atto, come se l'assenza di arredamento di un appartamento fosse sinonimo di una presunta barbarie animalesca (i loro vagiti sono associati a quelli delle papere), in realtà più coerente con l'atto stesso di vivere, più di un fidanzato (aspirante) regista che decide, senza neanche chiedere, che la fidanzata gli avrebbe fatto da protagonista, facendosi osservare e registrare nelle riflessioni sul suo passato, nel sorriso del risveglio mattutino, nei suoi grandi timori. Lei-Schneider, che decide programmaticamente di mettersi dall'altro lato della ferrovia metropolitana per mantenere le distanze, e lui-Léaud che mentre lei gli parla pensa "che splendida carrellata", ribadendo che ogni occasione è un (possibile) film mancato, una possibile nuova stimolante menzogna. Lui-Léaud che trova nel Cinema la vita, e Lui-Brando che la trova nel rapporto disinteressato anti-identificativo/anti-borghese/anti-reale con una donna senza nome, dopo che l'accumulo di nomi e informazioni l'aveva fatto soffrire una volta persa la sua prima moglie, onnipresente presentimento di morte e distruzione, nel sangue che tinge lenzuola e vasca da bagno poco dopo che lui ha potuto esprimere la sua disperazione in un urlo sotto un ponte. E mentre stanno chiusi in quel piccolo mondo in cui il Sogno carnale più che alternativa si rivela un nuovo sguardo su una Realtà dimenticata, ci si chiede dove stia la Vita e dove stia il Cinema, se nel primo Brando o nel secondo Léaud, alla ricerca entrambi di una vita realistica fatta, paradossalmente, di un'evasione sincera, in un mondo dove l'evasione è l'atto più quotidiano e quindi assurdo. Léaud sbraita come Gene Kelly ballava 'sotto la pioggia', e Brando piange come una donna mentre la Schneider si masturba come un uomo, perché uomo e donna fra loro hanno un abisso che anche sostituendo i ruoli si mantiene profondo. Intanto, fuori, la realtà si rende assurda (o si rivela falsa), e Paul e Jeanne fanno un'inconscia prova del nove "fuori", dove possono lanciarsi in un Ultimo Tango a Parigi per rendersi conto lei di come niente del loro sogno reale sia possibile e lui di come sia ricaduto volontariamente nella tentazione di conoscere/amare e quindi, possibilmente, di soffrire [per l'ultima volta]. E la morte della Vita è anche la Rinascita del Cinema e della sua definizione, della sua Vittoria e al contempo della sua Sconfitta, perché la bugia che scagionerà Jeanne da qualsiasi colpa è, effettivamente e terribilmente, la più vera delle menzogne.

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