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Il sole negli occhi

Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film

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La recensione su Il sole negli occhi

di LorCio
7 stelle

Se è vero com’è spesso vero che gli esordi (quando riusciti) lasciano intendere quanto di buono realizzerà un autore (abbagli esclusi), l’esordio di Antonio Pietrangeli si può quanto mai definire una dichiarazione d’intenti. Etichettato frettolosamente ma anche legittimamente “regista delle donne”, sin da questo primo film Pietrangeli non si limita ad un discorso superficiale sulla donna del dopoguerra: la osserva, la studia, la descrive, la dipinge con una partecipazione e un distacco immuni all’ideologia, al pregiudizio e al giudizio.

 

Esempio terminale della stagione neorealista volta ormai alla conclusione fisiologica e all’esaurimento espressivo, è un film di passaggio che contamina tematiche neorealiste (il ritratto della Roma in via di ricostruzione, una comunità di povera gente legata da rapporti di solidarietà, l’aspirazione alla tranquillità economica e familiare) ad elementi tipici dei fotoromanzi cinematografici e del cinema melodrammatico di quegli anni (la servetta ingenua, i tradimenti amorosi, il bellone stronzo), con un’importante focalizzazione sul personaggio principale, assolutamente inconsueto nel suo percorso di evoluzione umana, professionale, sentimentale.

 

Embrione del testamentario capolavoro Io la conoscevo bene, la prima tappa del coerente percorso di Pietrangeli potrebbe essere anche il primo film post-femminista ante femminismo della nostra cinematografia maschilista, se non misogina, nonostante una decina di grandi ritratti femminili. Assieme a Pietrangeli, l’hanno scritto il quasi esordiente Ugo Pirro e la già blasonata Suso Cecchi D’Amico. Se Gabriele Ferzetti, che non ha né il fisico né la faccia dello stagnaro, fa il suo con diligente mestiere, Irene Galter è stata una meteora del cinema povero ma bello che qui funziona abbastanza bene, e sono degne di nota le partecipazioni di Pina Bottin e Aristide Baghetti.

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