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La chiave

Regia di Tinto Brass vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La chiave

di hallorann
8 stelle

La storia è nota: Tinto Brass compra i diritti del romanzo di Tanizaki “La Chiave” per farne un film fin dagli anni sessanta, tutti lo rifiutano poi nel 1982 spaccia lo scrittore giapponese per un Premio Nobel e l’operazione va in porto. Egli riadatta la trama del romanzo nella Venezia del 1940, infatti si parte con una festa di capodanno alla vigilia del XVIII anno dell’era fascista. Mentre un camerata augura buon anno al grido di “eja eja alalà” ad un tavolino troviamo John Brian Rolfe chiamato Nino, professore inglese dell’Accademia di Belle Arti sposato con la più giovane Teresa e la figlia Lisa con il fidanzato Lazlo, uno studente dell’accademia. Nino durante un ballo perde il controllo e palpeggia la moglie, l’alcol ha contribuito “siamo così noiosi quando siamo sobri”. All’uscita un gruppo di studenti goliardici, degli sfaticati per la figlia, si fotografa con prof e famiglia al grido di “viva la mona”. Teresa fa pipì in calletta, Nino recita i versi libertini di Maffio Venier, un poeta veneziano. Un barbiere gli taglia i capelli in casa, lui con un binocolo guarda il paesaggio e spia una tresca a tre in cui fantastica la presenza della moglie. Proprio con lei ha un rapporto contraddittorio, decide di scrivere un diario per amore e “per colpa di quel ritegno, quel pudore che ti fa vergognare ancora adesso vent’anni dopo”. Dopo una cena Teresa sviene e Nino ne approfitta per ammirarla meglio, (ri)scoprirla e penetrarla meccanicamente. Il giovane Lazlo non è indifferente al fascino della futura suocera, lei idem. Rolfe, spirito libero ed ex curatore della biennale della città lagunare, ora vive autenticando falsi, gestendo distrattamente una pensione con la consorte e soprattutto dedicandosi al suo piccolo meschino progetto privato “tanto grato alle autorità per avermi licenziato”. Con una macchinetta tedesca fotografa la moglie addormentata in pose postribolari, le fa sviluppare da Lazlo mettendo in moto più o meno consapevolmente una cornificazione definitiva. Anche la figlia Lisa ci mette del suo per favorire la cosa. Marito e moglie usano il diario come chiave di liberazione sessuale. Rolfe intanto viene intimato dal dottor Fano di non bere e di controllare i coiti per il bene del suo cuore, ma lui esagera galvanizzato dagli effetti positivi della sua iniziativa. Il tutto però va ben oltre le intenzioni, al termine di un gioco erotico viene colto da trombosi, pochi giorni dopo muore con soddisfazione. Durante il funerale in gondola Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia, è il 10 giugno 1940.



Uno dei punti di forza de LA CHIAVE è Stefania Sandrelli, grande e coraggiosa attrice che riempie il film in tutti i sensi con le sue forme morbide e giunoniche, la sua grazia recitativa e una sensualità unica. Il simpatico Brass offre il meglio del suo repertorio: monta alla Kim Arcalli e fin dalle prime battute segna il territorio “è proprio vero la vita è un lampo e il culo uno stampo” che ripeterà all’infinito nei suoi film successivi. La parte buffonesca è presente in diverse occasioni: la scritta fascista NOI TIREREMO DIRITTO corretta in NOI LO GAVEMO DIRITTO, la sua comparsata in abiti talari e sguardo spiritato che all’indirizzo della protagonista lancia un “…copula aliena cogitata…cum marito”, i volti buffi e cubisti di alcuni generici, la corsa “cavallina” di Lazlo e alcune battute a doppio senso. La parte pittorico-artistica è assai rilevante: Giulio Romano è citato più volte, nelle scene di nudo e di copula Lazlo e Teresa ripropongono Giove e Giunone dall’opera “Amori degli dei”, visionati anche nei disegni all’accademia come in un gioco di specchi, Nino paragona la moglie ad una incisione sul rame dello stesso Romano per cui sarebbe finito in prigione…e qui si cita l’arresto da parte del Papa del solo incisore Marcantonio Raimondi (precursore con Romano dell’arte erotica), ancora Nino che ripudia le sublimazioni letterarie e pittoriche che aveva amato (tra cui Klimt, un quadro del suo studio ci ricorda una biennale dedicata al pittore austriaco a cura di John Brian Rolfe) di fronte alla carne incendiaria di sensi di Teresa. Infine i riferimenti “all’arte degenerata”, definizione con cui i nazisti consideravano con disprezzo le opere d’avanguardia e contro cui si scagliarono. Non manca un riferimento alla Moda, altro campo in cui il duce metteva bocca in chiave comunicativa. La parte politica pure è presente in svariati versanti della Storia, a partire dall’ambientazione. Dalla versione integrale apprendiamo che il professor Rolfe è stato allontanato dall’accademia di Belle Arti per non aver voluto regolarizzare la sua identità. Egli preferisce stare alla finestra che buttarsi nella mischia e l’antifascismo è ribadito da numerose battute ironiche rivolte alla figlia Lisa (la bravissima e perfettamente antipatica Barbara Cupisti) fascistissima e impegnata in prima persona a rispettare i dettami del regime. Una sotterranea solidarietà tra non allineati si avverte con il dottor Fano di origine ebrea oppure con i pittori e mercanti a cui autentica falsi e opere degenerate. A sua volta il regista nativo di Milano ma originario dell’isola lagunare di Torcello cita l’intellettuale di destra Prezzolini per bocca di Nino (interpretato dal bravo attore inglese Frank Finlay doppiato da Paolo Bonacelli) e inoltre dedica l’ennesimo film alla ricerca della libertà assoluta riempendo la pellicola delle sue ossessioni, in primis il culo invece che i piedi del romanzo di Tanizaki. Del rispettabile e curato reparto tecnico meritano una menzione speciale le bellissime musiche di Ennio Morricone (alternate alle canzonette d’epoca), di ispirazione settecentesca e chissà forse al Bach dei concerti Brandeburghesi.

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