Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Un capolavoro senza tempo e al di sopra del tempo. I dialoghi quasi scompaiono per lasciare il posto a lunghi silenzi carichi di dolore e di disperazione. Una madre morente. Un figlio che ancora la ama e che non sa affrontare la definitiva perdita, ma che non può che rassegnarsi. La solitudine sarà totale, nell'ora tragica che si avvicina, e sarà terribile. Lui lo sa, ma è totalmente impotente. Non gli rimane che la pietà, e la scena in cui lo vediamo trasportare la madre nelle proprie braccia in quelle brughiere desolate, è di un'intensità straziante. Morte e decadenza permeano ogni anfratto. Una natura surreale, soverchiante nella sua opprimenza eppure così profondamente estranea, indifferente. Il figlio guarda una nave allontanarsi, lontanissima. Un treno, altrettanto lontano, delimita il confine. E'la Storia, che transita indifferente sullo sfondo. E' qualcosa di irraggiungibile che continua a sfuggire. La vita è un sogno, sembra volerci suggerire Sokurov, ma un sogno greve come una condanna. Siamo condannati a non sapere il perchè di questa condanna. Dio ha lasciato l'uomo solo, e ora anche l'affetto materno viene meno. La portata di questa tragedia è esistenziale, filosofica, universale. Paesaggi che paiono dipinti di Friedrich, atmosfere metafisiche, deformazioni espressionistiche delle inquadrature, colori esasperati. Tutto contribuisce ad una resa pittorica che è anche una resa drammatica, infatti nel film il paesaggio è molto più che scenografia, è vera rappresentazione. Un film immenso, è l'equivalente cinematografico della "Pietà" di Michelangelo: un vertice senza tempo, appunto.
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