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Jackie Brown

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jackie Brown

di Gyx
10 stelle

Jackie (Pam Grier), bella donna di colore di circa quarant’anni, arrotonda il suo stipendio di hostess contrabbandando droga e denaro sporco dal Messico agli Stati Uniti, per conto del trafficante d’armi Ordell (Samuel L. Jackson). Tutto fila liscio fino quando un giorno viene sorpresa all’aeroporto dagli agenti federali: Jackie deve adesso decidere se patteggiare, per incastrare Ordell e i suoi complici Louis (Robert De Niro) e Melanie (Bridget Fonda), o se marcire in galera. La hostess si trova così stretta in una morsa tra gli agenti, da un lato, e Ordell, dall’altro. Troverà però il sostegno inatteso di Max Cherry (Robert Foster), un locatore di cauzioni che si è innamorato di lei e che si troverà così immischiato in qualcosa più grande di lui.

 

 

In questo noir, Tarantino adatta per lo schermo “Rum Punch” di Elmore Leonard e ci aggiunge l’icona della “Blacksploitation” degli anni Settanta Pam Grier (celebre per aver interpretato il ruolo di Foxy Brown nel 1974 e per essere apparsa in molte altre pellicole della corrente filmica sopracitata). Non fraintendiamo però: il regista fa comprare i diritti del romanzo alla Miramax, ma come sempre reinterpreta e condisce il tutto a modo suo, si tratta infatti di un libero adattamento. “Jackie Brown” inizia con una carrellata magnifica che ci mostra questa hostess in un aeroporto, la sua apparizione sembra quasi mistica, statuaria, come se fosse venuta giù dal cielo: è un’icona, una divinità. Le titolazioni sono le stesse di “Foxy Brown”. Questo personaggio (come tutti gli altri del resto) è visto con grande simpatia: una donna dall’apparenza fragile, ma che sa tirare fuori gli artigli quando necessario, viste le difficoltà della sua vita, capace anche però di slanci e tenerezze inaspettate (pensiamo al suo rapporto con Max Cherry). Anche Ordell (nonostante sia un assassino e sia volgarissimo), ci sta simpatico, a mio avviso, non solo per il suo linguaggio e per il suo modo di fare coloriti, bensì perché, in fondo, anche lui è un personaggio triste ed un po’ rassegnato. È questa “disperazione muta” , questo voler essere qualcos’ altro, rispetto a ciò che sono, che accomuna tutti i personaggi di “Jackie Brown”. La protagonista è una hostess che guadagna 16'000 dollari all’anno ed è costretta a contrabbandare per arrotondare il suo stipendio, Ordell fa tanto il duro ma è palese quanto gli pesi la discriminazione razziale nei confronti delle persone di colore e quanto soffra di un complesso di inferiorità (sta assieme a Melanie solo per una questione di prestigio…è la sua bambolona (bianca) dai capelli dorati), Louis è passivissimo, parla poco e vive in uno stato quasi larvale di sottomissione a Ordell, Max  è solitario, odia e si è stufato del suo lavoro ma non lo molla, Melanie non fa altro che guardare la TV e farsi, perdendo la voglia di vivere. Il finale stesso è triste e malinconico: Max e Jackie riescono a raggirare sia Ordell che i federali e a prendersi tutto il bottino, tuttavia Max prende pochi soldi e, nonostante sia innamorato della hostess, non se ne va con lei e non lascia il suo lavoro (chiaro e definitivo segno di rassegnazione, a parte l’ultimo sguardo verso la donna in partenza che ci lascia spianata la strada dell’interpretazione…un ripensamento?). Anche l’ultima inquadratura, il lunghissimo primo piano di Pam Grier in macchina che canta” Across 110th Street" di Bobby Womack and Peace (pezzo tra l’altro utilizzato anche nella sequenza iniziale) ha un qualcosa di malinconico. È forse anche per questo che alla sua uscita, il film non fu molto apprezzato. Il terzo film di Tarantino, infatti, in confronto a “Le Iene” e a “Pulp Fiction”, risulta avere un tono meno epico, più limitato, più realistico e credibile, non colpisce al primo impatto, non dà più così tanto spazio all’eccesso, ma lavora più in profondità, e se c’è ironia deve essere colta nei dialoghi, nella sceneggiatura, non nella messa in scena. Un altro motivo potrebbe essere il ritmo, al quale il pubblico “mainstream” cresciuto a pane e film d’azione alla Schwarzenegger e alla Stallone, non è abituato : in questo caso “non arriva mai in cima”, ma mantiene una linea più o meno costante, dando a volte degli scossoni, per poi scendere di nuovo, il tutto per mantenere alta la tensione e l’attenzione dello spettatore, come d’altronde si dovrebbe fare in un buon noir, come sosteneva il grande Fernando Di Leo. Tecnicamente, Quentin gira un film perfetto, nel quale possiamo riscontrare ancora una volta le sue passioni, il suo stile e il suo marchio d’autore: i vari piani sequenza (nell’ incontro al buio tra Jackie e Ordell in casa della hostess e nella fantastica ed elaborata serie di sequenze dello scambio nel centro commerciale, dove la macchina da presa precede e segue i vari personaggi, girandoci anche intorno), la potenza e l’originalità dei dialoghi, la presenza costante della TV (che mostra programmi trash come “Chicks who love guns”, i film di Hong Kong, i polizieschi, i road movies) e della musica (in questo caso il soul della vecchia scuola che fornisce ritmo e sentimento come per esempio il pezzo dei Delfonics che si sente spesso), le inquadrature sui piedi femminili, la presenza dei feticci della cultura di massa (i bar, il centro commerciale,…anche se in modo meno marcato rispetto ai suoi due lavori precedenti), la radio sempre accesa in macchina, l’inquadratura dal punto di vista dell’interno del bagagliaio, il fatto che i personaggi parlino di cose normali, quotidiane (vecchiaia, aspetto, sigarette, discoteca, musica, film,…), ed infine (benché rispetto a “Le Iene” e “Pulp Fiction” sia più lineare) non mancano, nella sequenza dello scambio delle buste, le sfasature temporali e i molteplici punti di vista dei vari personaggi. Le scene da ricordare, e che restano facilmente impresse sono sicuramente l’incipit, l’uccisione di Beaumon (con un’inquadratura in campo lunghissimo dell’auto che si allontana, compie un giro ad U, con la musica che scompare piano piano, si ferma, e che, dopo che Ordell spara a Beaumon uccidendolo per poi risalire in macchina, si ritorna a sentire), le scene già citate dell’”incontro al buio” e dello scambio nel centro commerciale, le due molto divertenti dove Melanie e Louis fanno sesso (con un fondo in nero su cui appare la scritta “Tre minuti dopo”) e dove De Niro (dopo essere stato preso in giro tutto il tempo) perde la pazienza e spara a Bridget Fonda, ed infine secondo me, anche quando Jackie imita Travis Bickle di “Taxi Driver” facendo delle prove di tiro davanti allo specchio. In conclusione, “Jackie Brown” è un capolavoro poco capito, snobbato e sottovalutato da quasi tutti, ma che, per quanto mi riguarda, è il miglior lavoro del grande Tarantino…chi non riesce a capire che quest’uomo ama il cinema a tal punto da ricreare determinate situazioni, crearne di nuove e crearsi un proprio stile, e non ha mai visto niente di ciò di cui questo genio parla…è bene che stia lontano dalla sua arte, dal suo cinema all’ennesima potenza.

 

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