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Arancia meccanica

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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full metal ale

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La recensione su Arancia meccanica

di full metal ale
8 stelle

Mi ripropongo: «Siamo all’inizio degli anni ’70 e in tutto il mondo vigeva un clima di protesta, di rivolte giovanili, studentesche. Al cinema nudi e provocazioni erano ormai di routine e chi meglio di Stanley Kubrick poteva dare un suo parere su ciò che stava accadendo nel sistema globale? Adattando a suo modo il controverso romanzo di Anthony Burgess, Kubrick ne ha cavato una parabola sulla violenza e sul potere socio-politico che sempre di più gli si avvicina e se ne serve. Siamo in futuro non troppo lontano, siamo tuttavia nella terra di nessuno priva di punti di riferimento. Il personaggio principale è Alex (grandioso, spumeggiante, perfetto Malcom McDowell doppiato benissimo da Adalberto Maria Merli) un simpatico figlio di puttana, per citare le stesse parole di McDowell in un intervista, che scorrazza con i suoi Drughi pestando, rubando, stuprando ballando il tip-tap. Il film prosegue trasformandosi da un tour de force di immagini, musica e sensazioni in una parabola politica di elevato impegno e di accanita critica verso i “potenti”. Quello che infatti non esiste nei film di Kubrick è l’happy end (e Dio ce ne scampi!). Ciò che invece sorprende e letteralmente strabilia è la costruzione visiva/uditiva di “Arancia Meccanica” semplicemente perfetta. E stupisce (ma poi non troppo) il fatto che il film alla sua uscita fu stranamente incompreso e completamente ignorata la metafora politica. Purtroppo il mondo è pieno di scemi e matti (e lo stesso film ce lo dimostra) che hanno portato all’emulazione i comportamenti dei Drughi portando così nel caos mezza Londra le sere dopo la prima del film. Kubrick fu invaso da lettere minatorie e minacce di morte che lo incolpavano del fatto che il suo film avesse fatto scatenare orde di criminali e avesse indotto anche persone “normali” alla violenza. Kubrick dovette così ritirare il film dai cinema londinesi sebbene “Arancia Meccanica” restò e resta tutt’ora il più grande incasso della Warner. Il film che ha avuto un successo di scandalo nel lontano 1971, è passato alla storia più per la sequenza dello stupro (tuttavia non ripreso dal regista che di sicuro non era un morboso, né un ipocrita come invece ce ne sono tanti) compresa nella prima folgorante parte di “Arancia Meccanica” seguita poi dalla devastante «cura Ludovico» e dall’amaro finale. La potenza del film sta anche nello trascinare lo spettatore tra il tripudio di visioni e musiche che sono il vero protagonista. Ci sono soprattutto due sequenze chiave in questo senso: una è il balletto nella casa dello scrittore, durante il saccheggio-pestaggio e lo stupro della donna citato prima, regolato da Alex al ritmo della celebre canzone «Singin’in the Rain» in una, ripeto, perfetta interazione di immagini e musica, che seppur i Drughi compiano gli atti più tremendi al mondo picchiando e umiliando, non può non apparire stupenda come sequenza. L’altra scena (ma ce ne sarebbero molte altre) è sicuramente quella in cui Alex e i suoi compagni avanzano al rallentatore costeggiando un bacino mentre nell’aria si diffonde imperiosa la «Gazza» rossiniana e si scopre fulmineamente Alex gettare in acqua i Drughi ammirando, sempre al rallentatore, la perfezione dei movimenti e delle coordinazioni degli attori e della cinepresa. Le musiche hanno una valenza importante per tutto il film (si pensi solo alla gita nel negozio di dischi dove tra l’altro compare tra gli scaffali un disco contenente la colonna sonora di “2001”) e l’immagine forse di più ancora. Nella seconda parte ambientata nel carcere e nella clinica prima, di nuovo a Londra dopo, vi è come un attenuarsi della forza visiva/uditiva (naturalmente vi è sempre, ma è meno persistente e “ottimista” della prima parte) e della violenza. Si seguono infatti le vicende di riabilitazione di Alex su cui viene sperimentata la «cura Ludovico» (tremenda anche per lo spettatore) e quindi la sua perdita consistente del libero arbitrio e della possibilità di difesa. Inutile dire che questa è una tipica metafora kubrickiana per l’uomo moderno e il mondo moderno. Alex si trasforma così da criminale, a quasi un martire (sicuramente uno strumento del potere) che conosce un nuovo mondo che sembra persino più violento di quello che gli apparteneva prima, dove i suoi compagni nascondono la loro indole violenta dietro le divise da poliziotto e dove proseguirà una sorta di fase di redenzione dove Alex rincontrerà tutte le persone a cui aveva recato danno e subirà la loro vendetta. Finale a sorpresa. Capolavoro. Voto: 10.

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