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Strade perdute

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Strade perdute

di alan smithee
10 stelle

“Dick Laurent è morto”…

L’inizio e la fine di un incubo morboso, sadico e labirintico (coincidenti, ma cronologicamente invertiti nel loro ordine da uno stratagemma temporale che solo un brutto sogno può giustificare o rendere plausibile) è collegato da una linea retta rappresentata da una buia autostrada illuminata solo parzialmente dai fari di un auto in fuga: quella dell’assassino di Dick Laurent appunto.

Una corsa nel deserto in un noir dominato dal doppio: un protagonista che si trasforma improvvisamente e senza un motivo percepibile in un’altra persona, e una sventola dalla chioma bicolore e dal passato ambiguo che appare prima mora come la moglie fedifraga di un suonatore di sax in balia delle proprie nevrosi, e poi nella platinata versione di donna di un boss violento e gelosissimo, pupa che seduce (non senza un calcolo preciso e machiavellico alla “Brivido caldo”) il giovane meccanico di fiducia del suo uomo, colui che guarda caso si è appena “reincarnato” nel suonatore di sax, imprigionato tra le sbarre con l’accusa di aver massacrato la propria moglie.

Patricia Arquette

Strade perdute (1997): Patricia Arquette

Un thriller che si dipana contorto ma seducente tra le pieghe di una società losangeliana corrotta, violenta e dedita al vizio in circoli privati e feste esclusive  a luci rosse.

Chi tiene le fila di questo diabolica scacchiera è “l’Uomo Misterioso”, viscido nanetto maligno che ruba intimità oltremodo inaccessibili, fruga tra le lenzuola di raso nere cupe e fredde come la villa nuda ed asettica che ospita la coppia alla deriva: l’individuo presente contemporaneamente alla festa privata e nella casa della coppia scoppiata, il perverso che disegna e compromette i miserandi destini dei protagonisti, tutti inesorabilmente perduti da un percorso che è più tetro ed inesorabile di quanto il più perverso degli incubi riesca a far immaginare.

Strade perdute segna la fine dell’innocenza, di cui in qualche modo erano succubi i protagonisti dei precedenti e non meno inquietanti film di Lynch.

Tutti i personaggi coinvolti (e sono tanti davvero) sono vittime di una perversione di fondo, di una freddezza di sentimenti che si nutre di sfoghi di piacere e violenza che portano alla deriva di un piacere stordente, pure se effimero.

Patricia Arquette

Strade perdute (1997): Patricia Arquette

Patricia Arquette, qui nei due ruoli che valgono tutta una (comunque piuttosto variegata) carriera di interprete, è una dark lady alla Barbara Stanwich dalla vocina dolce e mielosa che contraddice la spietatezza di fondo di cui è capace, non appena l’uomo che ha manipolato con scaltrezza si ritrova omicida a sangue freddo del suo avversario.

“Non mi avrai mai” comunica questa con candore inquietante al suo spasimante, mentre nuda nel deserto dopo la fuga, si appresta a rientrare nella casa isolata e deserta del ricettatore.

Strade perdute è un film che si chiude nel momento e con la scena che immediatamente precede il suo avvio, dopo un labirinto asfissiante di incubi cupi e tortuosi, ma che nonostante questa sua struttura ellittica, riesce comunque (è questo uno degli aspetti straordinari, impossibili, contrari ad ogni regola geometrica e pratica, in grado di trasformarlo in un capolavoro assoluto) a risultare rettilineo, senza fine come l’autostrada che taglia in due il deserto senz’anima del nostro sporco universo terreno.

Balthazar Getty, Robert Loggia

Strade perdute (1997): Balthazar Getty, Robert Loggia

Bill Pullman

Strade perdute (1997): Bill Pullman

Il fido Angelo Badalamenti, Trent Reznor e Marilyn Manson, diabolico e satanico più che mai, affiancano Lynch nella scelta di una colonna sonora memorabile e fondamentale.

Un film da vedere e rivedere senza mai stancarsi, per trovare ogni volta nuovi accessi, nuove possibili interpretazioni e strade (perdute, appunto) di lettura e fascinazione visiva che non richiedono necessariamente certezze o risposte razionali.

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