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Totò che visse due volte

Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film

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La recensione su Totò che visse due volte

di Peppe Comune
9 stelle

Tre episodi per una geniale sintesi della degenerazione morale dell'uomo contemporaneo. Paletta (Marcello Miranda) è un uomo in perenne balia del suo insaziabile desiderio sessuale. Per andare con Tremmotori (Camillo Conti), la prostituta più ambita di tutta la Sicilia, Paletta si procura i soldi rubando gli ex voto dall'edicola votiva dell'Ecce Homo. Al capezzale di un omossessuale di mezza età tutti aspettano il suo anziano amante Fefè (Carlo Giordano) che però tarda ad arrivare perchè ha paura di Bastiano (Baldassarre Catanzaro), il fratello violento del morto. Don Totò (Salvatore Gattuso) è un capo mafioso che ordina la morte di Lazzaro (Fortunato Cirrincione) facendolo sciogliere nell'acido. Ma questi viene fatto resuscitare da Totò (Salvatore Gattuso), un vecchio Messia che si aggira per la Sicilia facendo miracoli e dicendo cattive parole.

Ambientato in un non luogo che sembra il ricettacolo di ogni forma di degenerazione possibile e in una dimensione monocromatica che volutamente ne accentua la bruttezza degli spazi, "Totò che visse due volte" è la perfetta antitesi di ogni forma di mercificazione dei corpi elaborata in una società votata al culto dell'immagine. Tanto è falsa nella sua spendibilità televisiva questa, quanto è vera quella nel suo essere il riflesso preciso di una dimensione sociale degradata e degradante. Fa da collante ai tre episodi "il tema unitario della morte di Dio per un'umanità che ha smarrito i valori fondamentali", dicono Ciprì e Maresco, un' umanità che ha perso il senso del sacro e anche quello del profano, sommersa com'è nei meandri di un degrado urbano che divora l'animo. Con "Totò che visse due volte", i due autori siciliani hanno sostituito l'estetica delle immagini con l'estetizzazione di un mondo totalmente desacralizzato : da un'umanità maledettamente mascolinizzata, da corpi schiavizzati dalla brutalità dei loro più bassi istinti, dalla deformazione cognitiva di ogni coordinata affettiva. Tra Pasolini e Bunuel si potrebbe dire. In effetti, il film ha l'essenzialità "corporale" del primo e la scarnificazione dell'oggetto religioso del secondo. Poi Ciprì e Maresco hanno estremizzato il tutto (vennero processati per oltraggio alla religione) in modo ostentatamente grottesco giungendo alla sacrilega commistione tra sacro e profano (penso allo scarso rispetto per i morti o all'attore Salvatore Gattuso che interpreta sia il capo mafioso che il Messia) e alla blasfema santificazione di corpi disturbati e disturbanti (il Paletta di Marcello Miranda che viene messo nell'edicola votiva al posto dell'Ecce Homo e la crocifissione finale). Un capolavoro di due autori unici e geniali. Una messinscena esemplare sullo stato di putrefazione del mondo. 

 

 

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