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Il sapore della ciliegia

Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film

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La recensione su Il sapore della ciliegia

di Ivs
8 stelle

Un detto popolare recita che la fortuna aiuta gli audaci. Una affermazione profetica non tanto distante dalla realtà se pensiamo alle travagliate vicende di questa pellicola.
"Il sapore della ciliegia" fu infatti presentato soltanto in extremis alla rassegna francese, dopo essere stato inizialmente estromesso per la mancata conclusione delle riprese.
Per fortuna che Kiarostami , tenace e audace allo stesso tempo, riuscì a portare i negativi in tempo utile per l'inizio della Mostra, cambiando cosi' il corso della Storia.
Un bizzarro gioco del destino che segnerà l'inizio di una marcia trionfale, culminata con la Palma d'oro (a parimerito con "L'anguilla" di Inamura) e la definitiva consacrazione internazionale del suo autore. Un successo senza dubbio meritato per un film unico, che diede una profonda scossa al panormama cinematografico dell'epoca (parliamo del '97); e che riuscì a rinnovare un genere, il road movie, che ormai da tempo aveva esaurito le sue forti potenzialità drammaturgiche.
La storia può essere descritta come un viaggio del protagonista, ma prima ancora dello spettatore, alla scoperta di due tra i lati più misteriosi dell'esistenza, ovvero la vita e la morte. In questo cammino di analisi e intrspezione Badhi si imbatterà in tre individui: un soldato, un seminarista e un vecchio che lavora al museo di storia naturale.
Incontri nei quali cercherà delle risposte, conferme che i suoi propositi di suicidio non sono sbagliati. Ma le sue speranze saranno vanificate, in quanto nessuno saprà offrirgli l'aiuto richiesto.
Al massimo tali compagni di viaggio, metafore dichiarate della nuova società iraniana (esercito, chiesa e popolo), sapranno indicargli delle strade, utilizzando come arma di convincimento le loro piccole esperienze personali: essi saranno nè più nè meno di un mezzo per poter esplorare e sviscerare temi importanti quali la morte, la vita, il suicidio, gli affetti, la natura. Ed è qui che emerge la genialità di Kiarostami che, evitando di vestire i panni del predicatore, sceglie di narrare la vicenda sotto una prospettiva laica.
L'uomo - e di riflesso il cinema - non hanno secondo l'autore iraniano la capacità di penetrare la vita e i suoi segreti: e il tentativo di dare una spiegazione razionale alla Vita o alla Morte è soltanto una folle utopia.
Meglio piuttosto liberare la propria mente da pensieri cosi' sfuggenti e complessi, cercando di cogliere la bellezza, l'immediatezza, e la semplicità dell'esistenza: lasciandoci cosi' trasportare e inebriare dal suo gusto deciso e penetrante, dolce come quello di una ciliegia.
Un messaggio di speranza, che ci porta ad assumere una posizione stoica verso la Morte e il destino che ci attende. Ma allo stesso tempo un' interpretazione della vita che non ci viene inculcata o imposta, essendo strettamente legata alla nostra sensibilità personale.
Kiarostami evita infatti di tracciare un'unica via interpretativa, offrendo solamente chiavi di lettura, percorsi, indizi. Sta allo spettatore dare la sua versione, chiudere il cerchio di una storia che è finzione ma allo stesso tempo esperienza quotidiana, come testimonia il sublime finale con la troupe al lavoro.
Un cinema di grandi emozioni che raccoglie l'eredità dei grandi del passato (il rigore rosselliniano, la lucidità bressoniana, la sobrietà registica di un Ozu) , indirizzandola verso nuove frontiere. Verso terreni battuti e inesplorati allo stesso tempo. Capolavoro.

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