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La ciociara

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su La ciociara

di luisasalvi
6 stelle

Poche cose molto belle in un film nell’insieme lento, noioso, piuttosto convenzionale. Può essere banale anche la guerra, anche la tragedia, e tutta la prima parte lo è, tranne l’incontro fra Cesira (Loren), vedova irreprensibile, e Giovanni (Vallone), amico del defunto marito di lei ma di lei innamorato da sempre, alla oscillante debole luce di una lampadina che solo a tratti li illumina. Terribile, ma magistrale, la scena, lampeggiata di squarci violenti, della violenza subita da Cesira e dalla tredicenne figlia Rosetta ad opera di un gruppo di soldati “alleati”. Un improvviso silenzioso assalto di belve. Poi il silenzio. Poi il pianto finale delle due donne, dopo un altro episodio gratuito e assurdo, in cui Rosetta senza dir nulla alla madre passa la notte fuori con un giovane appena conosciuto, a festeggiare la liberazione, mentre la madre la attende e se ne dispera. Ho voluto rivederlo, a distana di mezzo secolo, ma confermo l’impressione di allora: tutto inutile e subito dimenticato, tranne la violenza e il dolore di Cesira, indimenticabili, straordinari (ma come definirli “belli”? Tremendi), ma che non si vorrebbero rivedere. Segue un episodio già denunciato da molti come stonato (Marotta, che non è mai stato tenero con Moravia, lo imputa al romanzo, e mi sembra evidente), la “fuga” notturna di Rosetta con un ragazzo appena conosciuto, senza dir nulla alla madre che resta in ansiosa attesa tutta la notte.

Riporto alcuni passi del bel commento di Marotta sui momenti belli del film, in particolare su quello terribile della violenza di gruppo sulle due donne: “È una sequenza memorabile. Quelle voci squittenti e agghiaccianti delle belve nere che sprizzano come avvoltoi dalle crepe dei muri; quella disperata e vana difesa; quegli orribili minuti in cui si attende che il cielo si rompa (…); quel non esposto ma intuibile scempio di Rosetta. (…) Ah, gli occhi sbarrati e aridi, la marmorea fissità di Rosetta. Ah la pietà della madre, quelle sue carezze impercettibili che non medicano, quel suo lento pettinarla. (…) I brani che eccellono sono: la pioggia di razzi lanciati dagli aerei, che determina un clima irreale, natalizio, mistico (Rosetta s'inginocchia e prega); il «ti amo» di Michele dinanzi al microscopico cimitero (uno scampolo di tombe e di croci); la sposa a cui la guerra ha ucciso la neonata, e che, impazzita, offre in vendita, scoprendo le mammelle, il suo latte; il primo piano di Cesira nel camion, quando s'accorge, allibendo, che la figlia dà retta a Florindo: un primo piano di una emotività forse mai conseguita dal cinema, un primo piano che gronda inespresso e inesprimibile travaglio, un primo piano squassante, in cui l'ineguale Sofia Loren è davvero la Madonna dei sette dolori”.

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