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Faro Sin Isla

Regia di Cristóbal Arteaga vedi scheda film

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La recensione su Faro Sin Isla

di OGM
6 stelle

Una tormentata cronaca del nulla, nella sua forma più ruvida e crudele.

Solitudine. Una condizione mistica e primordiale. Sono i due registri – animalesco l’uno, spirituale l’altro – che il regista Cristóbal Arteaga cerca di intrecciare, in maniera volutamente dissonante, in questo film dal carattere aspro. Il realismo di una quotidiana lotta per la sopravvivenza si attorciglia nervosamente intorno ad acuti surreali, in cui l’istinto si articola in una grottesca teatralità. Per Felix Bacigalupo, cinquantenne abbandonato dai compagni di lavoro su un isolotto deserto, la vita è una serie di irrazionali impennate nella direzione di un cielo irraggiungibile, circondato da un nulla indifferente, calmo ed anonimo come il mare, sullo sfondo del quale tutto sembra possibile. L’immaginazione punta verso l’alto, con lo slancio duro e velleitario di quel faro che si erge su un lembo di terra apparentemente inutile, arida, si direbbe inesistente. Il sogno prende avvio dal deserto, da una morte che ha assunto il nome di una donna, dalla visione apocalittica delle pagine bibliche, dalla ricerca di un silenzio assoluto e profondo  che soffochi il rumore dei generatori elettrici e compensi la disperante assenza di risposta dall’altro capo della radio di servizio. Il ritratto di chi, improvvisamente privato di punti di riferimento, incomincia a confondere la sua vera identità con quella in cui teme di precipitare, è una sequenza di suoni disarticolati che scandiscono la ricerca di una storia che colleghi, con la sua solida logica, l’oggi al domani, distinguendo la notte dal giorno, dando coerentemente conto del trascorrere del tempo. Felix si affanna intorno a questa missione che non riesce a diventare poesia, né religione, né musica, perché sempre interviene, inatteso, uno sprazzo di incubo a spezzare l’illusione di essere padrone del proprio destino. Questo racconto mette a nudo – con gli effetti spiazzanti di un linguaggio rudimentale e frastagliato – l’interiorità che grida convulsamente fuori dal corpo quando si sente risucchiare dal vuoto. Perde il ritmo e l’armonia, nel momento in cui l’altro da sé smette di fare resistenza dall’esterno, premendo con il suo  incisivo controcanto sulle cedevoli pareti dell’anima.   Senza la sua azione plasmante, le emozioni in libera uscita emergono informi e disumanizzate. Vane e sfuggenti, rozze e ignobili, smarrite in partenza, subito dimenticate. Questo Faro sin isla passa e va, con i suoi accordi casuali e troncati, che, pur nella disperazione, hanno perso di vista il senso della fine. La sua scrittura interrotta non si imprime nella memoria, si cancella, anzi, ad ogni capoverso, per poi non chiudersi mai. Forse è il modo migliore per lasciare in sospeso un discorso che si vuole provocatoriamente spogliato di ogni dignità. O forse è solo il tentativo abbozzato di creare la tensione reprimendo, con sorda insistenza, ogni suo iniziale sussulto. 

 

scena

Faro Sin Isla (2014): scena

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