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Dante's Peak

Regia di Roger Donaldson vedi scheda film

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La recensione su Dante's Peak

di SredniVashtar
6 stelle

Allora allora…

Uno dei filoni più prolifici, forse secondo solo a zombie e vampiri, è il catastrophe movie.

Siamo perciò abituati, anche inconsapevolmente, non tanto a valutare un film in quanto tale, ma a darne un giudizio “di genere”. E con Dante’s Peak la situazione è proprio questa: come si inserisce la furia della montagna nel filone di appartenenza? Vi contribuisce positivamente, o sarebbe meglio dimenticarlo? Va subito detto che per molte categorie filmiche, ormai, vige lo spartiacque del prima e dopo effetti digitali massicci in story-board e produzione. Questo per non far correre le tartarughe (il prima) contro i ghepardi (il dopo). Dante’s Peak (1997) appartiene al “prima”, e di conseguenza usufruisce dello sconto-benevolenza.

Tutto ciò troppo lungamente premesso: cosa chiediamo noi spettatori a un film catastrofico? Molte cose: 1) di elettrizzarci con le prospettive della catastrofe; 2) di non deluderci visivamente quando essa si produce; 3) di rendere il contorno plausibile e sintonico con la medesima.

Ecco – ora ci arrivo – Dante’s Peak a mio modesto avviso mantiene le promesse e non delude. Il vulcano è scenograficamente assai incombente, e ciò aiuta l’atmosfera. Come in ogni catastrophic movie che si rispetti ci sono gli indizi, le visite alla tana del mostro prima che esso si risvegli, i canonici giochetti di sceneggiatura “io l’avevo detto” – “no, tu non l’avevi detto” – “l’avevo detto prima io”… che separano gli eroi incompresi dagli idioti (in genere, come qui, burocrati).

 

Pierce Brosnan fa quanto deve, anche se al posto suo quasi chiunque altro avrebbe avuto gioco altrettanto facile (mi vengono in mente una decina di migliaia di nomi). Però Brosnan è carino, adatto alla storia sentimentale collaterale di cui i film catastrofici sono restii a privarci.

Dall’altra parte abbiamo Linda “Terminator” Hamilton, mai bella ma spesso interessante e sempre ma proprio sempre cazzutissima.

Il plot si sviluppa come da manuale: la montagna pian piano si sveglia, l’acqua diventa solforata, i tremori del terreno si intensificano, i miscredenti si convincono. Per essere nell’epoca pre-digitale, le scene della montagna che esplode (proprio come il St. Helen, che probabilissimamente le ha ispirate) non sono affatto male: la nerissima nube che incombe sulla cittadina suscita ben altra suggestione che la notte di Sauron (cfr.: Il Signore degli anelli).

Il finale – ve lo devo dire? – è “all’americana”, ma questo è scontato. Mai una volta che muoia un buono, un bambino, un animale domestico. A volte qualcuno si deve sacrificare, per esigenze di copione: qui è la nonna, che però ci rimedia un tale figurone da farci chiedere se non l'abbia fatto apposta. Invece il solito babbeo troppo tardi convertitosi all'evidenza scompare, nella pregevole scena del ponte travolto dalla piena.

 

Quindi Roger Donaldson (regia) si è meritato la paga, con un’opera che a distanza di 18 anni non è ancora in coda alla classifica di plausibilità e thrilling. Anzi, più catastrophe movie escono nelle sale, più quella classifica rischia di risalirla. Vedibile, se in concomitanza non c’è la finale di Champions.

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