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Quando eravamo re

Regia di Leon Gast vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Quando eravamo re

di hallorann
9 stelle

“Signori: un uomo, un mito, un eroe”, avrebbe detto Gianni Minà o probabile lo abbia detto in una delle sue numerose e celebri interviste.

Muhammad Alì, il campione dei pesi massimi lo fu davvero un mito e un eroe, uomini sempre più rari nel panorama mondiale. Quale altro personaggio oggi prenderebbe posizione non andando a combattere in Iraq o in Afghanistan? O sposerebbe la causa di un popolo? Mettiamo quello palestinese. Nessuno. Beh Cassius Clay lo fece per i neri d’America, rifiutandosi di andare a combattere in Vietnam. Cassius Clay si iscrisse al movimento “Nation of Islam” e mutò nome in M.Alì. Nel 1974 accettò la sfida di incontrare il campione in carica George Foreman di sette anni più giovane nel memorabile “The rumble in the Jungle”, organizzato dal carismatico Don King a Kinshasa in Zaire, paese appena liberatosi dal colonialismo e dal nome di Congo Belga. Il dittatore Mobutu offrì una borsa da 5 milioni di dollari a testa per i due pugili. Si doveva svolgere il 25 settembre ma un lieve infortunio a Foreman fece slittare l’evento al 30 ottobre, poco prima della stagione delle piogge. Il match fu preceduto da un concerto di star di colore quali James Brown,

B.B.King e The Spinners.

Muhammad Ali

The Trials of Muhammad Ali (2013): Muhammad Ali

QUANDO ERAVAMO RE è il documentario di Leon Gast che - sulla base di varie riprese effettuate dallo stesso regista e da altri cineasti-operatori-montatori - la Tandem di Nanni Moretti distribuì nel ’96. Con le testimonianze dello scrittore Norman Mailer (inviato dell’Esquire), di un paio di giornalisti sportivi, di Spike Lee e di un artista africano si descrive il circo mediatico e l’attesa che precedettero l’incontro del secolo. Mettendo in primo piano Alì, viene descritto, soprattutto, il significato della manifestazione: il continente africano e la popolazione zairese nell’occasione al centro dell’attenzione internazionale, il loro riscatto e, un figlio afroamericano che ne diviene il simbolo. Il carisma di Alì si impone immediatamente, le sue dichiarazioni provocatorie scatenano una guerra psicologica contro l’avversario. Gli africani non conoscevano Foreman, se non per sentito dire, pensavano fosse bianco. Quando arrivò all’aeroporto di Kinshasa si presentò con un pastore tedesco al guinzaglio, cosa che offese gli Zairesi perché i belgi li usavano come cani poliziotto. Nelle conferenze stampa giornaliere Muhammad rivendica il ruolo esclusivo di afroamericano mentre Foreman è lo zio Sam da abbattere, lo provoca, lo prende in giro e lo imita facendone il verso da zombi sul ring. Si fa riprendere durante gli allenamenti in cui parla di continuo per caricarsi ripetendo frasi come mantra personali.

Muhammad Ali

The Trials of Muhammad Ali (2013): Muhammad Ali

Sono più veloce del diavolo, combatto col cervello, sono scientifico, sono un artista, io pianifico la mia strategia, lui è il toro io il matador, è spaventato a morte, vorrebbe lasciar perdere. Quando lo guardo lui vorrebbe scappare. E’ terrorizzato. Sta per incontrare il suo domatore, il suo maestro, il suo idolo…se parlo sono in forma. Ora sono in forma!, conclude.

Le sue tirate istrioniche lo rendono unico, inoltre annuncia che danzerà più che mai fino a stordire Foreman. A quest’ultimo giunta voce lavorò per stare al centro del ring e neutralizzare la leggendaria velocità dell’avversario. Giungono Brown e King, i loro trascinanti brani musicali si alternano alle dichiarazioni del padrino del rythm ‘n blue’s: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Per l’organizzatore Don King sarà un trampolino di lancio definitivo. Intanto Alì conia un nuovo grido di battaglia Alì boma ye (uccidilo) ed esternazioni sempre nuove: “Voglio vincere il titolo per riscattare i miei fratelli. La boxe è il mezzo con cui racconterò l’Africa alla mia gente”. Si arriva al giorno tanto atteso, le quattro del mattino locali per poter essere trasmessi alle dieci negli States. Mailer racconta che il suolo dello stadio di Kinshasa odorava di sangue, Mobutu lo Stalin d’Africa aveva incarcerato centinaia di oppositori e delinquenti nei sotterranei. Alì era dato per perdente, anche il suo spogliatoio temeva il peggio, persino la sua morte ma lui seppe rincuorarli al grido di: “Danzerò, danzerò e lui diventerà matto per questo”. Non era vero. Alì ingannò tutti. La forza bruta di Foreman lo annientò per diverse riprese alle corde, incassò come non mai. Alla quinta ripresa cominciò la risalita, la quale culminò all’ottava in cui il detentore del titolo esausto cedette alla stanchezza e all’attacco finale che lo mandarono al tappeto.

 

Un elefante addormentato, a cui si può fare tutto finché dorme ma quando si sveglia travolge ogni cosa.

 

Alì tornò campione per disputare altri ventidue incontri. I féticher, gli stregoni guaritori si impossessarono dei pugni e della mente di George, rappresentati nel documentario da uno sguardo ipnotico di donna che danza contorcendosi, ripetuti più volte al montaggio (molto probabile sia il volto della cantante Miriam Makeba ripreso durante il concerto). Forze oscure o strategia vincente, sta di fatto che Alì incontrò gli amici africani ringraziandoli per la loro bontà e dignità contrapposti al mondo viziato americano, afroamericani compresi. Un mito, un eroe.

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