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Ancora vivo

Regia di Walter Hill vedi scheda film

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La recensione su Ancora vivo

di Decks
6 stelle

Il soggetto di Akira Kurosawa termina il suo viaggio intorno al mondo: approda anche negli Stati Uniti l'avventura dello straniero senza nome, accolto da niente meno che Walter Hill. Una fortuna che l'ennesimo remake sia toccato ad un professionista come Hill, salvando il titolo dall'insuccesso, spesso assicurato, dei remake made in USA.

 

I cambiamenti ci sono, ma il cuore è lo stesso: potrebbe essere questa la frase che più si addice alla pellicola che decide di stravolgere scenografie ed epoca del conosciuto "Yojimbo", mantenendo comunque medesimi personaggi e trama;

ed è proprio in quelle variazioni, quelle scelte che non si limitano a riprendere e scopiazzare, ma ad inserire una visione personale che convincono maggiormente.

Qualunque fan del film originale giapponese, o dell'ottimo film di Leone, non può non ammirare come, aggiungendo delle tinte noir e privando qualsiasi sequenza dallo humour, ci si ritrovi in un film più fracassone e (leggermente) diverso dai precedenti: cinema action di quello buono, che grazie alla mano di Hill vengono inscenati sparatorie e scontri a fuoco del migliore John Woo, riuscendo a mantenere viva l'attenzione dello spettatore di fronte ad un tripudio di armi da fuoco, capaci di far volare (letteralmente) questi cowboy degli anni 30 in mezzo alla polvere.

Non solo azione ben eseguita, ma anche una dose di realismo e immagini significative compongono questa pellicola; di cui dobbiamo ringraziare Lloyd N. Ahern: raramente il cinema americano ci mostra una fedele trasposizione dei suoi aridi paesaggi; Hill e Ahern hanno il buon gusto di preferire sabbia e sporcizia a colori accesi e pulizia, catapultandoci in un saloon che più sporco non si può, e in mezzo a venti impetuosi che sollevano piogge di polvere che tutto ricopre, che siano oggetti o protagonisti: uno scenario che non serve solo in termini di realismo, ma di comprensione, rispecchiando l'anima di questi eredi dei mandriani: vili individui senza scrupoli, che si muovono esclusivamente per denaro e possessione; non c'è posto per pietà o commozione; gli unici accenni di altruismo vengono immediatamente puniti, tramite violenze ineccepibili (dove gli effetti speciali sul volto di Willis sfigurano magnificamente l'attore) o morte.

Il tutto condito dalla regia posata e professionale di Hill, senza virtuosismi segue le vicende del suo John Smith, tramite lunghe carrellate o minuziosi primi piani, sebbene talvolta si senta troppo la mano del regista sulla cinepresa, comunque accettabile, nonostante la regia preferibile sia quella che non si vede.

 

Al contrario le sceneggiature di Hill non convincono: scialbe, patetiche e alcune scelte non solo sono incomprensibili, ma insopportabili: un esempio è la voce fuori campo: la sua continua presenza alla lunga stanca, quasi voglia obbligatoriamente scandagliare qualsiasi recondito meandro della psiche dell'anonimo protagonista; una scelta errata, causa la tipologia e il tipo di messa in scena del lungometraggio, che di certo non fa parte del cinema d'essai.

A chiudere il quadro negativo delle sceneggiature vi sono dei dialoghi sottotono, colmi di clichè da qualsiasi punto di vista, che sia quello del western o del noir.

Se a questo si aggiunge una trama che nonostante i cambiamenti (troppo pochi) poi si limita semplicemente a riprendere elementi sparsi di Leone e Kurosawa: abbiamo un film che sa eccessivamente di già visto, privo di emozioni e veri colpi di scena. Hill sembra quasi in competizione con i due registi, trovandosi a ricercare continuamente una perfezione stilistica che non arriva.

Non basta dunque un semplice cambio di location per ricalcare la profondità dei due film, visto che qui sono le sparatorie a parlare più che la sottile trama inscenata.

Per non parlare del cast: basterebbe citare Bruce Willis per capire quanto questo film sia lontano dalle altre due pellicole ben più conosciute. Va bene ricercare l'assenza emotiva e di espressione per dare un tocco di ignoto al protagonista, ma è impossibile non mettere a confronto la freddezza di Eastwood con la vuotezza di Willis: vero incapace nelle doti recitative e con una scrittura del suo personaggio inutilmente profonda; visto che non risulta credibile fin dalla prima scena, dove l'impassibilità lascia posto all'espressione inebetita e addormentata tipicamente sua.

L'unico a convincere è Christopher Walken: con una voce roca, secca come il paesaggio di Jericho, più una cattiveria folle e inspiegabile riesce a dare una spinta in più alla pellicola: il solo a raggiungere lo stile misto tra gangster e selvaggio west che si richiedeva a questa pellicola.

 

Al termine di tutto ciò, il soggetto di Kurosawa è ancora vivo? La risposta più appropriata è nì: l'ambientazione e la tecnica del bravo Walter Hill aiutano di certo, ma il tocco del regista che tutti conosciamo è ormai sbiadito: si intravede ma esaspera con la sua continua ricerca di stile, a cui si aggiunge un cast mediocre, frenato da tutti i limiti imposti da un remake, che poteva benissimo essere risparmiato.

Dispiace per l'impegno di Hill, ma Kurosawa e Leone sono su un altro pianeta, vivi e vegeti nella mente di tutti.

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