Regia di Friedrich W. Murnau vedi scheda film
"Couldn't she get drowned?".
La parola drowned si manifesta sullo schermo celando qualcosa di più profondo, entra in dissolvenza; poi tutta la frase scompare, un secondo dopo, come fosse una lacrima. L'uomo guarda la donna, le afferra il collo e lo stringe con forza per poi ricadere in un'anfora sentimentale forgiata da martirii.
Da queste cinque parole, pronunciate da Margaret Livingston, l'uomo non riesce più a trovare una propria identità, non riesce più a muoversi dentro confini concreti, la sua figura cammina sulle nuvole e viaggia su binari troppo astratti. È da queste cinque parole che inzia il viaggio spirituale più superbo e elegante compiuto da un regista nella storia cinematografica.
È arrogante questo film, è come se avesse già la risposta pronta a tutte le domande che gli farai, è talmente celestiale che non riesci a scalfiro con nessuno critica, è protetto da una ampolla di diamanti, resistente, duro, lucente.
Ogni frame è un'opera pittorica, ogni frame è un quardo, un quadro romantico; in ogni frame c'è quell'anima tedesca troppo eccessiva, troppo avvilente, per non mettersi a piangere, c'è troppo espressionismo, c'è troppo Murnau. Aurora sembra letteralmente essere stato costruito e composto da qualcos'altro, la sua stabilità sembra provenire da altri mondi, come l'acqua è stato portato qui dagli asteroidi, è matrice di tutto.
Io cerco, io provo a farvi arrivare delle immagini, delle sequenze, ho il "compito" di mostravi indirettamente il film.
L'uomo e la donna sono abbracciati, si spingono tra le macchine, i loro corpi sono ancorati al terreno, le loro menti si parlano da qualche altra parte, i loro piedi sono li, sono su quella strada, le loro anime no, le loro anime volteggiano, loro non vedono nessuno, per qualche tempo il loro rapporto carnale con questo pianeta è svanito.
Sino ad Aurora nessuno era mai riuscito a smembrare e a guardare all'interno, in modo così accurato e nitido, l'animo umano.
Giudizio finale:10
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