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Martyr

Regia di Mazen Khaled vedi scheda film

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La recensione su Martyr

di OGM
7 stelle

Hassane è morto. Forse lo desiderava. Nessuno lo sa. Nessuno capisce. Ma è così che si muore.

La morte sognata. La ragione che la vita non offre. Tutto accade in un attimo, ed è stato per gioco. Hassane è un ventenne libanese disoccupato, che trascorre le giornate in compagnia degli amici, ma senza provare alcun vero gusto nel godersi il tempo libero, il sole, il mare, gli scherzi tra coetanei. L’opzione dell’integralismo rimane lì, nei recessi del suo pensiero, a creare un pungolo costante, che lo riempie di dubbi e non gli dà tregua. Ai suoi occhi, la realtà, probabilmente, si è già coperta del velo degli ideali impossibili, che ne filtrano la luce rendendo tutto indifferente, poco importante, a cominciare dalla propria vita, dal proprio corpo, dalle leggi fisiche che ne determinano la fragilità e che ne possono, da un momento all’altro, decretarne la fine. Sarà per questo che, in pieno giorno, per Hassane si spalanca improvvisamente la notte. In mezzo all’allegria di una gara di tuffi, quel ragazzo compie, d’un tratto, il grande passo. Sembra un sogno, e forse per lui ne è la realizzazione, è la messa in scena dell’unico eroismo pensabile in quell’atmosfera di inutile attesa, di spensierata mediocrità. Il sacro irrompe, con la sua austera ritualità, a far ripartire un tempo che pareva non dover mai passare, restando per sempre immobile e vuoto al di qua dell’eternità. Il corteo funebre inizia sugli scogli del litorale, tra il muschio e la pelle bagnata, e si direbbe una finta, con quegli uomini seminudi che tolgono allo spettacolo ogni parvenza di dignità. Eppure Dio è appena arrivato, a dirigere le danze, a imporre il silenzio, ad impartire ordini affinché ognuno compia il proprio dovere di credente, senza esitazioni, e tutto si volga secondo le regole antiche quanto il mondo. Né la modernità, né la giovane età  possono fungere da alibi. La Verità ha appena chiesto il suo sacrificio, ed ognuno deve mostrarsi umile e obbediente al suo cospetto, pur nel doloroso sbigottimento che toglie il fiato e blocca i movimenti. Il momento del trauma si dilata all’infinito, diventando un’interminabile pausa di contemplazione, pur nel ritmo sostenuto delle pratiche  religiose, che si affannano per preparare la salma al suo incontro col Signore. Questo film ci trattiene nello stupore, nell’aria che si è improvvisamente fatta densa di impotenza, incredulità, reverenziale timore. La continuità fra la terra e il paradiso è un fatto di fede, ma anche un fenomeno puramente meccanico, che si inserisce nell’esistenza con la massima facilità e naturalezza, ma con l’effetto spiazzante di interrompere un normale discorso che, dopo di ciò,  nessuno sarà più in grado di capire. Automatici sono anche i gesti della pietà che si riserva ai morti, che le mani eseguono con pacata diligenza, mentre la mente, pur attentissima, non è in grado di percepirne  il senso. Straniamento e devozione si confondono, in quella che, forse, è una fase embrionale dell’estasi.  È la sospensione dei desideri comuni, così brutalmente oltraggiati da uno schiaffo celeste. Il martirio è il prodigioso figlio della banalità. Un fiore di sangue sbocciato in un terreno arido e poco profondo, di cui fissa per sempre l’anima gelida. E priva questo racconto del calore cinematografico dei sentimenti di cui si parla e si freme, delle emozioni che si studia come poter trasformare in immagini a colori. Qui non c’è spazio per le variegate musiche del cuore. Si avverte, in sottofondo, solo il largo, uniforme, silenzioso incedere della inafferrabilità.  

 

scena

Martyr (2017): scena

 

scena

Martyr (2017): scena

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