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Martyr

Regia di Mazen Khaled vedi scheda film

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La recensione su Martyr

di EightAndHalf
7 stelle

"Che me ne faccio di un martire?".

 

Il corpo di un giovane invade l'inquadratura stretta su dita, peli, incarnato, immerso in un'acqua scura che lo isola dal resto del mondo, una luce accecante a illuminarlo come in un lento girotondo. Sospeso e immutabile, è un limbo che respira, in cui l'anima sopravvive senza rinunciare al corpo. È un limbo fra qui e altrove, qui dove ancora si può percepire il proprio stare al mondo, altrove dove il ruolo di martire ha un qualche significato.

 

Non ci sono schemi né sovrastrutture, se un personaggio è in scena è soprattutto perché è presente in essa, vivo ed esitante, solo o amato che sia. L'amicizia, in questo mondo di corpi, è un rapporto fisico, che non rimanda ad altro se non a se stesso, alla fiducia nel corpo e nella sua presenza. E non importano le preghiere, i riti, i pensieri, a importare è la carne, che somatizza preghiere, riti e pensieri.

 

Ecco perché in "Martyr" il lutto è un vero lutto senza speranza: si deve rinunciare alla visione e al contatto con un corpo che è, nel caso del protagonista del film, intatto anche se svuotato dal decesso. E un'intera religione può poco di fronte a una perdita totale, subdola perché non rinuncia, col cadavere, a svuotare il campo visivo di un corpo svuotato a sua volta ("Non riesco a piangere").

 

Naturale dunque che quel limbo di corpi sospesi permanga e innervi tutta la pellicola, circondato dal buio di ciò che, rispetto al corpo, ha poca importanza. L'insistenza del regista sulle pelli, sui contatti fisici, sugli abbracci, porta la morte in primo piano, e mai il sesso, perché sembra calarsi nel corpo la sacralità della vita. Trasportare quel corpo sarà come una processione, pulirlo sarà come venerare un'icona, che lotta fra Luce e Ombra indagando sul suo stesso esistere come i corpi di "Under The Skin" di Glazer o come quelli di "White Epylepsy" di Grandrieux. 

 

Si perdoneranno infine le ingenuità veniali di una produzione tanto povera quanto combattiva (certe dinamiche narrative, musiche inessenziali nella prima parte), di fronte a un candore che non impone morali ma osserva e fa osservare come i fedeli osserverebbero una messa.

Realizzato con soli 150000€, un film che ripaga lo spettatore se quest'ultimo sa offrirgli la sua fiducia.

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