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Foxtrot - La danza del destino

Regia di Samuel Maoz vedi scheda film

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La recensione su Foxtrot - La danza del destino

di gaiart
8 stelle

Un robottino giocattolo, verde elettrico con pistola, un dromedario, piastrelle grigie esagonali, un album di disegni originali, una sirena con la coda staccata in un tatuaggio. Con pochi potenti, indelebili, elementi si delinea un film prestigioso, con l’eleganza di un Sorrentino israeliano: il regista Samuel Maoz, per intenderci quello che vi

FOXTROT

di

Samuel Maoz

                                                                                        

 

“La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri”.
Hannah Arendt

 

 

"Non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia".
Otto von Bismarck

 

"In guerra mi facevano più impressione i vivi, che i morti. I morti mi sembravano dei recipienti usati e poi buttati via da qualcuno, li guardavo come se fossero bottiglie rotte. I vivi, invece, avevano questo terribile vuoto negli occhi: erano esseri umani che avevano guardato oltre la pazzia, e ora vivevano abbracciati alla morte".
Nicolai Lilin

 

 

 

Un robottino giocattolo, verde elettrico con pistola.

Un dromedario.

Piastrelle grigie esagonali.

Un album di disegni originali.

Una sirena con la coda staccata in un tatuaggio.

 

Con pochi potenti, indelebili, elementi si delinea un film prestigioso, con l’eleganza di un Sorrentino israeliano: il regista Samuel Maoz, per intenderci quello che vinse il Leone d’Oro con Lebanon, ora a Venezia conFoxtrot.

                                  

 

Si perchè di ballo si tratta, seppur in guerra, in un paese che vive l’attimo più di altri.

 

“Il foxtrot, ovunque si vada, porta sempre nello stesso punto” dice il protagonista e, con questa massima e su questa linea, si svolge il meraviglioso e potente film.

Elicoidale su se stesso, avvolto, assieme al paese e ai suoi protagonisti, nelle proprie spirali energetiche, di memoria e di errore sia storico, che militare, che famigliare.

 

Un padre nasconde la propria fragilità, assieme ad un errore commesso da militare che perseguita la sua memoria, la sua autostima, generando un senso di colpa indelebile. Questo intacca la famiglia, la moglie, i figli come un sasso che gettato nello stagno genera onde concentriche.

Infatti Michael e Dafna sperimentano il più grande dei dolori quando si presentano dei funzionari dell'esercito che comunicano la morte del loro figlio Jonathan mentre si trovava impegnato in un remoto avamposto.

 

Il sonoro nella prima parte del film, girata nell’elegante casa di questo architetto posh, gioca fin da subito un ruolo rilevante per convogliare uno stato di ansia, di aggressione estrema: la stessa che, in sostanza, Israele vive quotidianamente nella violenza delle sue giornate.

Qui urla, botte, porte che sbattono, colpi improvvisi, il guaire di un cane, suoni di campanelli, reiterati allarmi sul telefonino convogliano fin dal primo istante un senso di tensione nello spettatore.

 

E il regista, in questo modo, è bravo a passare empatia negativa a chi non conosce la vita in Israele.

 

Poi, out of the blue, un twist imprevedibile del film conduce in un ballo divertente di un giovane in armi nel deserto del Negev, mentre abbarbicato al suo fucile come fosse una bionda formosa, si avventura in una antica forma di breakdance che ha del tragicomico.

Ottima la fotografia e la grafica del film che si palesa anche con dei cartoons che spezzano tensione e aggiornano il ritmo.

 

Indubbiamente l’approccio artistico numeroso si svela in disegni, opere d’arte nei muri, in una grande fotografia di alberi in bianco e nero, come una guerra i cui risultati non transigono.

 

Gli attori, tutti credibili, autentici; geniale la presa di posizione verso la stupidità di una guerra perenne, verso l’occupazione e i posti di blocco in mezzo al deserto, in cui giovani (militari per caso) sono ignari e lontani dal tema della morte, forse perché ancora intrisi di playstation e latte materno.

Fino a quando non la devono inutilmente sperimentare - la morte- proprio sulla loro pelle o su quella di altri giovani innocenti.

 

Toccato dal vivo, come racconta in conferenza stampa, il regista racconta una storia reale relativa a quando credette di aver perso sua figlia in un attentato terroristico nell’autobus che la portava a scuola. Invece proprio quella mattina per caso aveva preso un taxi perché in ritardo, salvandosi.

 

 

Il film è sconvolgente e merita di vincere un premio. Non il leone d’oro che non basterebbe, ma magari il Nobel per la pace.

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