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Quel maledetto treno blindato

Regia di Enzo G. Castellari vedi scheda film

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La recensione su Quel maledetto treno blindato

di scandoniano
4 stelle

 

Ardenne, 1944. Alcuni soldati americani condannati a morte riescono ad eludere la sorveglianza dei tedeschi e fuggono verso il confine svizzero. Durante il tragitto si sostituiscono ad un plotone di soldati che devono far saltare un treno tedesco.

 

Film di serie C. I cosiddetti B-movie infatti sono quelli che convenzionalmente traggono dalle difficoltà la loro forza. Qui invece il regista italiano Enzo Castellari non copre né ironizza sul budget ridotto, ma prova a fare un film serio, un film di guerra a tutti gli effetti, con il risultato di realizzare un prodotto decisamente pedestre. Roba che può eccitare forse l’ipertrofico, ingordo, forzosamente anticonformista Tarantino, al punto da prenderlo come spunto per “Inglorious bastards”, ma anche da infarcirne a mo’ di omaggio “Grindhouse – A prova di morte” (il gulp pre-stupro di Mary Elizabeth Winstead è lo stesso pronunciato qui, ma nella versione originale, da Nick Colasante) e “Le Iene – Cani da rapina” (la scazzottata tra Michael Madsen e Harvey Keitel ricorda molto quella tra Williamson e Basehart).

 

 

Esteticamente il film è la quintessenza della falsità. Le scene sono palesemente farlocche, la messa in scena talvolta involontariamente surreale, la recitazione spesso approssimativa, i personaggi doppiati (in particolare Nick Colasante – Michael Pergolani) in maniera irritante. Il film non ha alcun barlume di originalità, né parvenza di autorialità: tutto è fasullo, al limite del maldestro (per cui accade che la stessa scena venga montata più volte dopo essere stata girata da differenti cineprese, oppure corpi che devono saltare in aria vengano issati da un cavo d’acciaio ben evidente). Problemi di budget, si potrebbe obiettare. Motivi dunque comprensibili. Meno capibili sono invece gli attori che ridono per una fastidiosa mosca sul viso, e la scena che viene ritenuta comunque buona. A tratti il confine con un qualsiasi film parodia (viene inevitabilmente in mente quel capolavoro di trash che è stato “Kakkientruppen” ) non appare così definito.

Si salva solo la bella sceneggiatura, che giustifica il titolo originale (e con cui Castellari lo fece distribuire negli States): “The inglorious bastards”. Ma è troppo poco, ed il finale emozionante oramai non fa più effetto. Inguardabili i titoli di testa e coda. 

Evitabile e non necessaria operazione a cui l’esaltazione tarantiniana ha dato nuova, crediamo breve, linfa.

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