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Professione reporter

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Utente rimosso (signor joshua)

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La recensione su Professione reporter

di Utente rimosso (signor joshua)
10 stelle

Locke diventa Robertson, e Robertson diventa Locke, ma nonostante questo, nessuno potrà mai uccidere il loro “io”, ciò che li caratterizza e che li rende individui. La loro vita si intreccia, e percorre cambiando direzione, allineandosi con quella dell'altro, il risultato? Entrambi, in breve, finiscono nella tomba. Perché, fondamentalmente, a questo mondo, non ci sono compromessi: lo si odia, ma si ha la possibilità di accettarlo, oppure di rinnegarlo, in entrambi i casi, il destino o le fatalità che siano, ci mette il suo zampino, procurandoci gioia, e poi dolore, ricchezza, e poi povertà, libertà, e poi prigionia. O meglio, è sempre libertà, che degenera, appiattendosi e collassando, trasformandosi in una condizione di vita insopportabile e tetra, una paralisi umana che parte dal suo esatto opposto, ovvero l'eccesso di mobilità, come il racconto sul cieco: a quarant'anni tornò a vedere, ma dopo essersi accorto di quanto brutto e sporco fosse il mondo, decise di rinchiudersi in casa, e di farla finita. E come lui, Locke, che aveva passato tutta la sua vita in mezzo al meglio che si potesse trovare, stanco di questa piattezza che lo stava portando alla rovina, decide di cercare rifugio nell'esistenza di qualcun altro, un uomo di cui non sa nulla, che incontra per caso in un albergo, in mezzo al deserto, in un angolo sperduto dell'Africa, ed un caso fortuito vuole che quest'ultimo, muoia improvvisamente, di un colpo secco, in tutta pace, mentre è a letto. Solo dopo si renderà conto di come entrambi fossero simili, e di come si trovassero in quel luogo per una ragione simile: lui era un reporter, l'altro un trafficante d'armi, entrambi hanno merce da vendere, uno informazioni che possono salvare o meno delle vite, l'altro armamenti che portano morte ad alcuni e salvezza ad altri, entrambi sono solo dei mercenari, senza patria, senza sentimenti, senza ideali, dei puri e semplici osservatori che aiutano gli altri per una sola ragione, i soldi. Ecco, quindi, cosa scopre Locke della sua esistenza una volta cambiata vita: che forse era meglio non acquistare la vista, continuare ad essere un semplice mercante di informazioni, con la sua famiglia, la sua incapacità di amare e la sua impotenza di comprendere le ragioni della sua infelicità, perché una volta uscito da tutto questo, si è reso conto che il resto, non è molto meglio, l'abitudine guida la vita di tutti, e l'abitudine è stata montata da una sola cosa, la stessa che fa cadere governi e che fa morire milioni di persone, la stessa, unica, ragione d'essere di Locke e di Robertson, il profitto. Forse è proprio per questo che Locke lo ha fatto, e magari non si illudeva, scappando, di poter trovare la felicità perduta, e voleva solo la conferma che quanto temeva fosse vero, e che, quindi, la morte (che avviene nel corso del magnifico piano sequenza finale), sia l'unica scappatoia possibile per riportare ordine e chiarezza nella sua esistenza e, magari, per poter riacquistare un barlume della sua antica (ma c'è mai stata in realtà?) felicità andata perduta per sempre. E sullo sfondo di questa vicenda che segue la scia di Pirandello, c'è un mondo che sta andando a scatafascio, e come si può biasimare Antonioni, uno dei pochi che sono riusciti veramente a parlare della morte dei reali valori dell'essere umano, se li ha mostrati un'ennesima volta? Il capitalismo, il figlio degenero ed effimero del fascismo, ha portato alla distruzione dell'umanità, intesa come modo di vivere consapevole, e quale paesaggio migliore dell'Africa, per mostrare questa distruzione? Anche gli ultimissimi luoghi del continente nero, rimasti incontaminati, sono stati appiattiti dalla colonizzazione e dal modo di vivere occidentale, che ha per legge solo l'omicidio della cultura e l'innalzamento a valore universale dell'egoismo. Ma c'è una differenza: stavolta i protagonisti non rimangono travolti con impotenza di reagire, da questa onda maligna, ma tentano di fuggire, di rompere le barriere che li costringono a rimanere prigionieri di loro stessi; è l'ambiguità che regna, ed è l'afflizione il sentimento che coinvolge tutti personaggi, nessuno escluso, che alla fine, sono e resteranno sempre vittime della decadenza collettiva. Come molti hanno detto, questo di Antonioni è un capolavoro, uno degli ultimi veri film d'autore di quel meraviglioso periodo cinematografico italiano, un racconto disilluso, triste, e sfaccettato, ricchissimo di contenuti lungimiranti e di allegorie stracolme di verità politiche ed umane, che ha al suo servizio un'eterna garanzia attoriale, un'ottima comprimaria, una fotografia superba ed una colonna sonora azzeccata; se ci si fa caso, poi, Nicholson l'anno dopo fu il protagonista di un altro capolavoro che parlava, tra le altre cose, della libertà individuale, con altri mezzi ed altro stile, ma con risultati addirittura superiori. Niente altro da dire, un'opera trascendentale e superba, di indubbia efficacia visiva e narrativa.

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