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Nostalghia

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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La recensione su Nostalghia

di OGM
8 stelle

L’umanità di Tarkovskij è composta di singoli individui che si confrontano, a distanza, con i luoghi desiderati o temuti. In Solaris come in Stalker, non è il raggiungimento della meta, bensì il percorso del viaggio a dare un senso alla storia, facendone maturare tutti i reconditi significati, oppure, al contrario, sviscerandone gli enigmi insoluti. In Nostalghia la trasferta toscana del protagonista è un periodo di digiuno poetico e sentimentale, in cui appare certo solo ciò che è lontano, nello spazio e nel tempo, mentre ciò che è presente è ermetico ed estraneo. Andreij  rimane fermo a guardarsi attorno smarrito, incapace di prendere qualsiasi iniziativa, come chi si rende conto di aver perso la strada. Intanto si tiene stretto il suo bagaglio di ricordi, di sentimenti ancora da esprimere, di storie da raccontare, di perché da indagare. Egli, nel suo intimo, si sente nello stesso tempo pieno e vuoto, come chi è immeritatamente sazio di verità imparate, comprese, vissute, e non riesce a liberarle dal gelo dell’anima in cui sono conservate. L’impossibilità di dare è un ostacolo al procedere dell’esistenza; è acqua profonda che affoga il suolo e freddo marmo che  chiude l’orizzonte. La visione del mondo è come una parete di candida calce su cui viene proiettato il muto bianco e nero della memoria. L’oggi è fermo, come la bicicletta immobile di Domenico, e invaso dal fumo delle  convenzioni, come la clientela  delle terme di Bagno Vignoni. Tutto è adagiato su una normalità improduttiva e beata, che non  si avvede della propria mortale opacità, come Eugenia, che si crede vivace e attraente, e invece ha la femminilità sbiadita e altera di una statua. L’unica, estrema speranza di sopravvivenza consiste allora nello sfidare l’impossibile: riportare calore in un mondo polare e deserto è come riuscire a traghettare una candela accesa attraverso una pozza. E dare fuoco al proprio corpo è la disperata espressione di una volontà  di amore, di vita, di luce che incontra soltanto la rispettosa indifferenza con cui solitamente ci si rivolge ai folli.
Dopo Solaris e Stalker, con questo film Tarkovskij scopre il dramma asfittico dell’utopia bloccata, invisibile, forse morta per sempre; nell’aria non si avverte più il respiro dell’oltre, di una dimensione alternativa da cui trarre la forza e l’ispirazione per cambiare il corso delle cose. Minimalismo e rarefazione si combinano qui in una miscela micidiale, che
risucchia ogni soffio vitale, scheletrisce le anime e brucia fino all’ultima goccia di energia.

 

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