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Nostalghia

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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La recensione su Nostalghia

di Aquilant
8 stelle

Inizia con la sequenza della Volkswagen immersa in un paesaggio nebbioso ai limiti di un’irrealtà che sembra riproporci l’atmosfera di “Striker” e dintorni. Continua con le inquadrature di un interno di chiesa turbato da un tempestoso volteggiare di stormi di volatili. Aleggiano vanamente nell’aria quesiti che l’uomo nei dimessi panni di un ipotetico sagrestano non é in grado di soddisfare. “Perché le donne sono più devote degli uomini?” “Anni senza vedere il sole con la paura della luce, perché?”. Un palese invito ad oltrepassare quella soglia fatidica oltre la quale si stende un mondo immoto e diafano, cosparso da un velo di struggente rimpianto. Nostalgica sinfonia immersa in uno stupendo contrasto di luci ed ombre, avvalorata da immoti piani sequenza che ci introducono in un ambiente dove la frenesia non é di casa. Dove ogni parola é soppesata con grande cura prima d’essere sussurrata. Dove l’immagine in chiaroscuro di una donna incinta sdraiata su un letto ci induce ad una riflessione sul mistero della nascita e della vita. Ed ancora.....primi piani statuari avvolti nella penombra, paragonabili per consistenza a figure michelangiolesche e per delicatezza a visioni preraffaellitiche. Figure irreali immerse in una piscina accarezzata da una nebbia volteggiante a mezz’aria miracolosamente sgorgata dalle viscere della terra che ammanta ogni cosa di un’incipiente aura di mistero, quasi un mondo dell’Ade con il poeta russo, novello Ulisse, alla ricerca non della sua Itaca ma di una panacea per l’incombente nostalgia. Cinema racchiuso in gesti misurati, in echi sfuggenti della nona di Beethoven, in cascate di pioggia che filtrano attraverso un soffitto sgangherato, in spaesamenti di persone che contemplano ripetutamente il proprio volto nella specchio all’inutile ricerca di un’identità nascosta prima che un fuoco implacabile venga a riprendersi la loro anima. Cinema immerso in un’immodificabile realtà che a tratti rimanda l’eco di entità lontane avvolte in un paesaggio brumoso, percepite come tante statue immobili dallo sguardo fisso nel vuoto in direzione di ipotetici punti al di là dell’orizzonte, in un’atmosfera virata verso il seppia. Vaghe figure di donne, di bambini che s’interrogano sulla fine del mondo, frammenti di un passato roteante tra le pieghe della mente. Voli di malinconia in un villaggio toscano pregno dell’eco di una terra nativa. Ma la forza del ricordo é come acqua limpida che scorre senza tregua. Il soffio di poesia é ormai svanito nel fuoco e non resta che attraversare la piscina vuota con una candela accesa per tentare di svelare il segreto di questa insinuante NOSTALGIA.

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