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Le lacrime amare di Petra von Kant

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Le lacrime amare di Petra von Kant

di alan smithee
10 stelle

 

-“Nella vita di una donna ci sono occasioni che vanno sfruttate”.

-"Io non ho cercato di sfruttare nessuna occasione Sidonie. Ho cercato solamente di vivere senza trucchi (e Petra dice ciò mentre è al trucco, fantastico!). Trucchi o magie: quello che ne viene fuori è schiavitù o costrizione, altro che umiltà!”

 

Petra Von Kant ha una vita alle spalle piena di successi, ma anche di passi falsi; quest'ultimi provengono in particolar modo dalla sfera del suo passato familiare, segnato da una vedovanza precoce, da un secondo matrimonio naufragato per volere della stessa donna, e da un rapporto inespresso e quasi imbarazzato con una figlia ormai grande, confinata in un istituto privato soprattutto per l'insofferenza di trovarsela di fronte e non saperla affrontare; forse per non accettare l'inadeguadezza di essere madre, mestiere che si apprende vivendo, ma che la donna non è riuscita ad imparare.

Ora Petra vive sola, in una grande casa servita ed assistita da una servizievole assistente-cameriera-segrataria-costumista, Marlene, che ama sentirsi comandare ed ubbidisce contrita e scientemente mortificata agli ordini asciutti della padrona, con un servilismo che rasenta, o forse oltrepassa, il masochismo.

In sei atti concitati e attanaglianti, Fassbinder mette in scena la trasposizione cinematografica perfetta e autodistruttiva della sua omonima composizione teatrale: un calvario in sei tappe, contraddistinte da sei angolazioni differenti nell'elegante mansarda della stilista, ma pure da sei acconciature diverse della eccentrica tormentata protagonista, da sei diverse figure femminili che intervengono in una battaglia senza precedenti, senza regole e senza pietà, ove vincitori e vinti si passano la staffetta fino al finale-sberleffo che vede realizzarsi l'abbandono finale anche della persona più devota e servile.

La figura maschile non appare mai: al più un sesso maschile è esibito non senza ironia ed evocazione, in bella mostra al centro della riproduzione della eccentrica tappezzeria che copre una parete principale di un salone, in un punto che la macchina da presa, non certo a caso, si trova spesso ad inquadrare.

Grazie ad un'amica che viene a trovarla a casa in tarda mattina, Petra, stilista di successo appena destatasi da letto, conosce qualche sera successiva una giovane aspirante modella di nome Karin (Hanna Schygulla), di cui si innamora, apparentemente ricambiata. Venuta a vivere con la donna, vedova e divorziata in seconde nozze, Karin dimostra presto che il suo affetto per la donna altro non è se non una tattica per sfondare nel mondo della moda e poter quindi ottenere di nuovo la libertà di concedersi agli uomini che la corteggiano. Distrutta dalla partenza di Karin, Petra prova a riallacciare un rapporto più umano con la figlia, che torna a trovarla dal college ove studia. Ma anche con lei i tentativi risultano fallimentari, destabilizzanti, catastrofici, come pure con la madre e la sorella di Petra stessa.

Alla celebre stilista non resterà che l'appoggio silenzioso e devoto di Marlene, la sua succube segretaria tuttofare. Ma quando la padrona deciderà di mutare atteggiamento con quest'ultima, mostrandosi più indulgente e remissiva, per Marlene i presupposti di quella sottomissione esistenziale necessaria terminano bruscamente e la donna deciderà di abbandonare pure lei quella casa e Petra, ora si davvero sola con se stessa e con l'amarezza angosciosa che la attanaglia.

Con Le lacrime amare di Petra Von Kant, Fassbinder firma uno splendido melodramma masochistico esasperato, dove i sentimenti e l'amore vengono presto smascherati come un abietto, tendenzioso strumento per ottenere successo e scalare i vertici di una società che solo col compromesso riesce ad avere ciò che più conta per distinguersi e realizzarsi.

Petra è un'eroina eccentrica (basti guardarla con i suoi vestiti impossibili, le sue parrucche caricaturali, l'arredamento pesante ed eccessivo che regna nella sua casa, tutta bambole, manichini e tappeti ovattati) che il successo l'ha conosciuto grazie al talento, e che non accetta di scendere a mezze misure né a compromessi, andando avanti per la sua strada: un percorso che la conduce inesorabilmente alla solitudine, ad un passo dall'abisso.

Siamo, con “Petra”, ai vertici della cinematografia di Fassbinder, che non usa reticenze né mezzi toni, in un'epoca in cui trattare di amori omosessuali e di odissee familiari da incubo era davvero ancora un tabù. Lui non se ne cura e va avanti per la sua strada con decisione ed una ironia che si riversa senza pietà sulle differenti figure di donne, sul loro stile di vita e di apparire (incredibili, quasi da incubo, i vestiti assurdi, con improponibili accostamenti di giallo e viola, della figlia studentessa di Petra).

Forse il regista si identifica nella sua meravigliosa, fiera, indomita protagonista, che la splendida attrice Margit Carstensen rende eterna e fondamentale, orgogliosa e decisa, ma nello steso tempo fragile e demodé come una nuova Norma Desmond, preparazione e modello per quella Veronika Voss che vedrà la luce dei riflettori esattamente dieci anni dopo, alla fine di una carriera cinematografica e teatrale frenetica, terminata tuttavia davvero troppo prematuramente.

 

 

 

 

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