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The Post

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Post

di momasu
10 stelle

The post è un film in bianco e nero. Non ammette grigi intermedi, compromessi di sorta. Il discorso di Tom Hanks nei panni di Ben Brandlee, direttore del Washington Post dal 1968 al 1991, alla proprietaria del giornale Katharine Meyer "Kay" Graham è chiaro: non si può frequentare i salotti del potere, chiamare amici i potenti e chiudere un occhio quando si presuppone si indaghi e pubblichi la verità. È un confine netto, una decisione inequivocabile da prendere, per quanto difficile, soprattutto quando si tratta di personaggi stimati e tenuti in alta considerazione: o si dice il vero o il falso. Tacere equivale a tradire la propria professione, rendersi complici della menzogna. Non sono solo i due interpreti principali a varcare la soglia, è un atto consapevole che compiono, Daniel Ellsberg, analista del Pentagono, davanti alla porta guardionata, nel momento di portare i documenti di McNamara fuori dagli uffici e Ben Haig Bagdikian, reporter del Washington Post che lo incontra in un motel e si rende complice nel trafugare e rendere pubblici i documenti top secret. Via via anche gli altri protagonisti della vicenda si trovano a dover scegliere da che parte stare, se rendere nota all'America la più grande bugia gli sia stata raccontata o seppellire la notizia per non rischiare di perdere tutto e affossare il giornale, da poco quotato in Borsa. Bianco o nero. Come il viso di un irriconoscibile Bruce Greenwood, chino su "Kay" Graham/Meryl Streep venuta a chiedere spiegazioni all'ex segretario della difesa degli USA, per metà sbiancato dalla luce e per l'altra metà nero come la pece e il male di cui si è reso complice, che non può essere mondato, qualunque sia l'argomentazione con cui si giustifica. Non ci sono grigi o scale di toni. Per la verità scale ci sono, e gradini tanti. Il poster li rende più che mai simbolici. Riempiono tutta la locandina, mentre sotto a destra paiono salire le figure dei protagonisti, rivolti l'uno verso l'altra, immobili, nell'atto di interrogarsi sul da farsi. In alto c'è il potere, e il giudizio della corte suprema. I due conoscono 'i piani alti', hanno frequentato e frequentano chi risiede nelle stanze dei potenti, ma scelgono di stare alla base (evidente anche da una lettura iconografica che prevedrebbe la loro posizione a sinistra se fossero intenti salire) perchè, come cita didascalicamente una reporter, "la stampa deve essere al servizio dei governati non dei governanti". Dalla cima di questi gradini, vinta la battaglia processuale, Meryl Streep invita Hanks a lasciare i microfoni al New York Times e, procedendo lungo la scalinata, si fa largo tra gli sgardi ammirati delle donne raccolte in manifestazione. Chiude il film un aggancio alla scena iniziale di Tutti gli uomini del presidente, a mo' di prequel, a incastrare il proprio tassello nella storia del cinema, o meglio in un discorso di cui si sono fatti portavoce i cineasti liberal: intenzione annunciata in una delle scene iniziali, in cui si vede campeggiare il poster di Butch Cassidy and the Sundance Kid del 1969 nel corridoio della Rand Corporation, sette anni prima che Robert Redford interpretasse il ruolo di Bob Woodward nel film di Alan J. Pakula. Permea il tutto il fumo dei salotti, il rumore dei caratteri mobili, delle macchine rotative e l'odore dell'inchiostro che andrà a stampare la prima pagina del Post, a chiare lettere, nero su bianco.

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