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Napoli velata

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Napoli velata

di Lehava
5 stelle

Una notte d'amore, e Adriana perderà sé stessa. O meglio, si perderà nel ricercare una sé stessa sconosciuta alla propria coscienza del quotidiano.

Una notte d'amore, e Adriana perderà sé stessa. O meglio, si perderà nel ricercare una sé stessa sconosciuta alla propria coscienza del quotidiano.

Alessandro Borghi, Giovanna Mezzogiorno

Napoli velata (2017): Alessandro Borghi, Giovanna Mezzogiorno

Alla fin fine, il film è tutto qui: in un gioco infantile di veli, troppo trasparenti per celare, ma che nel dubbio, mani premurose scostano continuamente: aprendo spazi infiniti di "spiegoni" noiosi davanti agli occhi (porta sfortuna) di spettatori creduti, invero, ingenerosamente ingenui e semplici. Il risultato è un inno all'horror vacui di Prazziana memoria: Otpetek ci butta dentro ogni cosa, rimescola, pare incerto sul percorso da seguire (mi sa che tra il fidato Romoli, la napoletana Valia Santella, il regista stesso, le idee di scrittura erano parecchie e non di poco contrastanti) ma alla resa dei conti, tra tempi morti, quadretti di genere, superficialità, direzione degli attori discutibile, ne tira fuori un lavoro insensatamente sensato. Un passo avanti non da poco per questo regista i cui meriti restano uno dei misteri irrisolti del panorama italiota.

Schermo nero: "A Napoli", coperta di percussioni.

locandina

Napoli velata (2017): locandina

Ma il ritmo, serrato e sensuale, è presto interrotto da una banale melodia pseudo-hitckcochiana che ci introduce nell'androne di un palazzo d'epoca. Macchina da presa che si muove con lentezza snervante ("per allungare il minutaggio?" mi chiedo) lungo i gradini che pare di scalare il Cervino, ed in cima, sul pianerottolo, ecco che compare l'antefatto: bum bum bum. Fine della musica da suspence e giù a capofitto nel ventre della città per la messinscena della Figliata dei Femminielli: siamo a casa di Donna Adele e Adriana, non proprio convinta dello spettacolo forse, si perde a guardare un giovane aitante. Il gioco di seduzione negli sguardi è tremendamente fasullo e freddo ma, da poveri spettatori ingenui, ce lo prendiamo così come viene: preludio di un'infuocata attrazione che si conclude in camera da letto, con squallido utilizzo di controfigure e/o photoshop (o come cavolo si chiama) tale da cambiare la geografia dei corpi. Almeno, di quello femminile, da vestito a nudo. La mattina successiva, domenica, l'uomo dà appuntamento ad Adriana al MANN, gabinetto segreto, per le 18:00. Ma a quel rendez-vous, Andrea non si presenterà. Delusa ed arrabbiata, la donna viene richiamata al lavoro lunedì mattina. Sul tavolo dell'obitorio, pronto per un'autopsia, un giovane corpo maschile martoriato: il tatuaggio svela l'identità ed Adriana, sconvolta, si autosospende. Interrogatori, perquisizioni, ricerche, indagini sono di rito: il suo amante è stato barbaramente ucciso. Ed Adriana comincia a vederlo ovunque: lui o un fantasma? Quale il mistero da dipanare: quello nella vita altrui o nella propria? A questo punto del film, l'accumulo prevale: veggenti, il passato che ritorna camminando negli antichi palazzi accanto ai quartieri popolari, mercato d'arte ufficiale e clandestino, Marechiaro e panorama dal Museo di San Martino, la tombola vajassa, visite guidate alla Farmacia degli Incurabili, il desiderio, percussionisti in concerto nella Galleria, Borghi in giro per casa perennemente a dorso nudo, Luisa Ranieri che non si capisce perché sta lì ma ci sta, Anna Bonaiuto che impreca contro Napoli dal terrazzo su via Filangieri, il commissario e la spiaggia in centro, il caldo che uccide o forse è la limonata, ombre, Lina Sastri ed Isabella Ferrari novelle sorelle Ceniza- restauratori di libri (per chi avesse visto "La Nona Porta" di Roman Polanski. Film per altro dimenticabile), occhi di vetro e la violenza incontrollabile delle passioni. Quale il senso? Smarrito. Ma Occam ce lo insegnò secoli orsono ed il principio metodologico è sempre valido: mai ricamare troppo. Certo, ad Ozpetek manca il controllo della materia: e lui stesso, alla fine, si fa digerire dallo stomaco di sasso della propria creatura. Un napoletano (uno vero però. Che per essere meglio sé stesso, cioé un napoletano, se ne è andato da Napoli) di talento aveva chiuso il cerchio su un grande carrozzone collettivo con un explicit di indubbio fascino: "Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco." Al regista turco, mai universale ma che qui limita il proprio intimismo che fa rima con autoreferenzialità, resta il trucco, comunque. Quello esagerato e sciupato sulla faccia di Peppe Barra, quello da mago Casanova che fa scomparire la protagonista nel vicolo accanto alla Cappella Sansevero. Poteva mancare il Cristo Velato in una Napoli dichiarata Velata, ma invero assai svelata? Interrogazione retorica.

Tanti problemi di scrittura: ritmo diseguale, tempi morti, scene del tutto inutili (quella delle due mercanti d'arte con la maschera, l'accostamento corpo maschile nell'Arte e nella vita, quella della morte di Pasquale), difficoltà di raccordo e di sintesi, dialoghi altisonanti da pessima Tragedia Greca, inverosomiglianze diffuse, caratteri superflui (su tutti, quello dell'amica Catena e dei femminielli). Registicamente: il vizio dell'estetica fine a sé stessa tipica di Ozpetek. Direzione degli attori incerta: se Barra e Bonaiuto ma persino Sastri e Ferrari vanno da soli (hanno il pilota automatico insomma!) molto ci sarebbe da dire sulle difficoltà della Ranieri (male) su Borghi (malissimo! Ha il fascino di un manichino ma di quest'ultimo, purtroppo, non l'espressività accentuata!) e persino su Giovanna Mezzogiorno che ho trovato in regressione. Invecchiata non troppo bene, inspiegabilmente vestita con pezze da mercato rionale, non riesce a trovare quell'equilibrio di seduzione fra pubblico e privato che avrebbe giovato non poco al personaggio. Un'interpretazione troppo distaccata, seppure precisa (ha sottratto, ancora un volta, sé stessa. E non sempre è un bene). Troppo monocorde: perennemente in una gelida terra di nessuno e mancante, nella voce e sul volto, di tutta una gamma di sentimenti che vanno dalla gioia all'affetto, dal dolore alla paura.

Nota di demerito per Pasquale Catalano che firma una colonna sonora imbarazzante. Scontata e melensa.

Con tutti i difetti, "Napoli Velata" consegna al pubblico un'opera a cavallo tra generi, confusa ma di fascino, che segna un crescita nella biografia lavorativa del regista e una tappa natalizia fuori dagli schemi tipici del periodo. Da vedere.

 

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