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Pagine chiuse

Regia di Gianni Da Campo vedi scheda film

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La recensione su Pagine chiuse

di ed wood
8 stelle

"Pagine Chiuse" è un film misconosciuto nella ricca filmografia italiana degli anni 60. Eppure andrebbe rivalutato. Al netto delle evidenti pecche recitative e luministiche, nonchè di una sceneggiatura talora ripetitiva, resta un'opera valida per il ritratto inedito e spiazzante (specialmente per l'epoca) che l'autore propone dell'infanzia. Siamo piuttosto lontani dai possibili modelli che Da Campo aveva a disposizione: l'anarchismo liberatorio degli enfants terribles di "Zero in Condotta" (Vigo), l'introversione passionale e "fuggitiva" di Doinel (Truffaut), l'infanzia crudele e rapace degli Olvidados bunueliani, quella problematica dei piccoli eroi di De Sica. Il piccolo Luciano di "Pagine Chiuse", agli occhi del regista, è nient'altro che un "apatico". Trent'anni in anticipo sulla "X-Generation" che negli anni 90 si distinse, nel luogo comune ma non senza un fondo di verità, per il disincanto, l'assenza di ideali, di emozioni forti, di prospettive (e che comunque faceva riferimento più ad un contesto adolescenziale che infantile), Da Campo compone un sorprendente ritratto di bambino consapevole del non-senso della sua vita, dei dissesti familiari, degli assurdi ed oppressivi dogmi del collegio cattolico. Colpisce in particolare la scena del dialogo col padre: sembra un confronto fra due adulti, tanto sono maturi i ragionamenti del bambino. Luciano non è affatto un puro: è un trasgressore, un peccatore, uno strafottente, per quanto mite caratterialmente. Non vìola le regole per capriccio, per istinto, per attrazione verso il proibito, ma semplicemente perchè non le comprende. Il suo spaesamento nei confronti di una società sorretta da logiche paradossali trova un riflesso nelle opache ed irrisolte fughe oniriche, dove l'oggetto del turbamento o del desiderio non trova una forma precisa (la gelosia "edipica" verso l'amico più grande e smaliziato del protagonista degli "Olvidados" di Bunuel; l'ossessione feticista per il cinema nei "400 Colpi" di Truffaut), ma solo dissestati ed enigmatici paesaggi urbani o campestri e vaghi simbolismi. Da Campo sa alternare un placido realismo d'ambiente sulla scia del miglior Ermanno Olmi ("Il posto", "La cotta"), con momenti di tenera poesia (come quando evoca le prime pulsioni sessuali con il dettaglio in "flue" dei capelli di una donna; o la melanconia dell'incontro con la madre). Ma i due momenti topici sono forse il perentorio incipit (con un significativo uso di ombre e voci off) e la chiusa dai connotati metaforici. Luciano si mette a nudo in Confessione, tenta di approcciarsi seriamente alla Fede cristiana, ma viene beffato da un malinteso "liturgico": è la vittoria definitiva dell'assurdo Dogma sulla spontaneità e la libertà del pensiero e dei sentimenti. E a quel punto, in mancanza di altri supporti ideologici e culturali, l'unico modo per sopravvivere è forse proprio l'apatia.

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