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La forma dell'acqua

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su La forma dell'acqua

di lussemburgo
7 stelle

 

Ha la forma dell’acqua il nuovo film del messicano Guillermo Del Toro, nella liquida mobilità della macchina da presa, che accarezza e sfiora i suoi sognanti personaggi, nella presenza costante dell’acqua stessa, che inzuppa il racconto di vari elementi umorali, nella qualità sfuggente del sogno che impregna il destino e deforma la realtà come vista attraverso un vetro molato.

Muovendosi con la musicale leggerezza di una cinepresa in moto perenne, nella Forma dell’acqua Del Toro ibrida il fervido, consueto immaginario steam-punk col romanticismo plastico di un mondo alla Amélie spostato nella nostalgia dei Sixties americani, con una protagonista che vuole vedere il bello dove c’è routine, allegria nei dettagli della noia, affetto nella solitudine condivisa e solarità nella tristezza della consuetudine.

Il regista guarda con malinconia ad una certa ambientazione alla Matinée di Dante, col cinema e l’enorme schermo che sembra far defluire sogni e la stessa creatura acquatica scivolata via dal Mostro della laguna nera, come in una grottescaRosa purpurea del Cairo ambientata a Baltimora, il ritratto del periodo sfuma il pastello della ricostruzione con l’acidità del razzismo verso le minoranze, più o meno numerose (i neri, gli omosessuali, i diversamente abili, gli immigrati). Del Toro pare tendere con evidenza verso il cinema di Spielberg, per la duttilità delle riprese, l’ambientazione e i toni fotografici - letteralmente traslati dal Ponte delle Spie - che si riversano sulla componente da Guerra fredda della trama e per la sintesi tra fantastico e reale, nonché per la prevalenza dell'impianto visivo sulla parola. Il registamessicano non riesce però ad esimersi dal frantumare l’aura favolistica con la frontalità del sesso (più o meno alluso) e con scene di nudo, elementi che vanno di pari passo con la ferocia espressa a parole dai personaggi più retrogradi e conservatori. Spielberg non lesina violenza e realismo estremo nei suoi film, spesso nascosti sotto la coltre della spettacolarità consensuale, ma Del Toro sembra cercare l’evidenza di una frattura che interrompa la fruizione passiva delle immagini, come un corpo gettato all’improvviso in una vasca piena e che origina increspature e movimento sulla superficie prima piatta.

La muta Elisa pulisce i segreti laboratori dell'Aeronautica militare ascoltando l’amica Zelda, oppressa da un marito distante. Dal parlottio di un monologo senza riposta e dalla descrizione ambientale emerge, infatti, il ritratto di un mondo misogino e razzista, che lima al visibile le differenze dalla norma segregandole ai margini dell’opulenza del sogno americano Wasp. Elisa, orfana, disabile, povera e dalla non appariscente bellezza, tra amicizie di colore e gay, si avvicina, sino ad innamorarsene, ad una selvaggia creatura anfibia catturata in Amazzonia e studiata a scopi strategici, contesa tra militari americani e spie sovietiche, intelligence opposte a cui basta che il nemico non abbia un vantaggio.

Ed è un inno alla diversità che diventa la Forma dell’acqua, la rivincita degli oppressi in una società che non li vede né li guarda, e che riescono, però, a compiere un colpo da soliti ignoti in una parodia di heist movie romantico, con la base militare al posto del casinò di Las Vegas. Ed è, in fondo, un film sul desiderio, di un’anima gemella o di appagamento erotico, di patriottismo come di affermazione personale e della libertà di muoversi ed agire a dispetto delle costrizioni fisiche, morali o sociali che accomuna tutti i personaggi, mostri e creature comprese.

Nell’allusione ad un’America contemporanea, nostalgica di un’inquietante arretratezza culturale e affascinata dal revanscismo fascistoide di un’età d’oro dell’opulenza, Del Toro esaspera il ritratto di un personaggio ossessionato dal sopruso (anche sessuale: rimanendo così di grande attualità) e senza speranza di redenzione, incarnato, capitalisticamente, dal responsabile della sicurezza Strickland, insensibile a qualsiasi forma di umanità e empatia, ritratto con il ghigno predatorio di un Michael Shannon teso ad eliminare ogni ostacolo dalla via del successo personale (economico quanto lavorativo) e dell’affermazione. Se il film soffre di un certo manicheismo nel definire i campi del bene e del male, non tralascia però di sottolineare - con malcelato sadismo verso l'inflazione dei mici in rete - la ferinità anche della creatura e la sua natura prevalentemente animale.

Pur assumendo il punto di vista prevalente di Elisa, il film apre numerose parentesi per i personaggi secondari, lasciando ad ognuno un piccolo e, a volte, sorprendente approfondimento per mostrarne l’intimità e la vera natura, più o meno crudele, e per sfaccettare la trama portante. La quale, nel suo insieme, è introdotta e conclusa da una voce off, il resoconto dell’amico Gilles che la trasforma in una favola illustrata, con un incipit surreale (un interno inondato d’acqua che a poco a poco si asciuga sino alla normalità) e un finale forse irreale, con un lieto fine sognato in cui, nell’immagine e nelle parole dette, trionfa l’amore, mentre la verità rimane nascosta dalla forma oscura dell’acqua del canale.

 

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