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Canola

Regia di Chang vedi scheda film

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La recensione su Canola

di supadany
9 stelle

Far East Film Festival 19 – Udine.

Tutti gli uomini e le donne di ogni età meritano lo stesso rispetto, anche al cinema. In realtà, nell’ambiente che tanto amiamo, convivono parecchi luoghi comuni duri da abbattere, che poi il pubblico avvalora senza tanti problemi quando decide che film guardare.

Anche per questo, Canola stringe il cuore e arrossa gli occhi, spartendo con Poetry di Lee Chang-dong il rapporto dominante tra nonna e nipote, un’attrice sublime, qui spetta a Youn Yuh-jung essere sublime, oltre a talune sfumature che solo un autore di grande sensibilità può permettersi di apporre senza scadere nel ridicolo o lasciare il dubbio di una scelta programmatica per strappare lacrime.

In una piccola comunità marittima, l’anziana Gye-Choon (Youn Yuh-jung) vive felicemente con la piccola nipotina, tutto ciò che le rimane della famiglia, almeno fino a quando quest’ultima non scompare nel nulla.

Dodici anni dopo, la ragazza (Kim Go-eun) torna tra le sue braccia, gli occhi ricominciano a illuminarsi e a diffondere amorevolezza, aiutando anche la nipote a sbocciare e abituarsi a una realtà completamente diversa da quella cittadina. Dal passato, c’è però ancora qualcosa destinato a emergere che potrebbe cambiare una volta di più gli equilibri della vita delle due protagoniste.

 

 

Se non ci fossero le nonne, bisognerebbe inventarle. Con i loro nipoti instaurano un rapporto che brilla di luce propria, caratterizzato dall’amore più profondo e incondizionato. Inoltre, quando sono vicendevolmente l’unico sangue del proprio sangue rimasto al mondo, è semplicemente una quotidiana epifania, la cui interruzione può causare un vuoto pneumatico, così come un nuovo inizio può riaccendere un motore spento da tempo.

Nel descrivere questo tipo di rapporto che dà in entrambi i sensi di marcia, Chang manifesta una sensibilità peculiare all’emanazione di onde emotive, alterna le pagine solari e quelle buie con una serenità coadiuvante, come un orologio che scandisce i secondi seguendo un ritmo rallentato e asincrono.

Questo passo fuori dal tempo e dal mondo, almeno da quanto affine a noi occidentali, è un ideale accompagnamento a un turbinio di emozioni, con forze centripete e centrifughe a contrapporsi seguendo un itinerario scritto con passione sincera dal regista stesso.

Dalla sua impostazione nascono anche quei particolari di contorno che non possono per alcun motivo passare inosservati: un giradischi in mezzo al bosco, il disegno a mano, il valore della luce e quei dipinti che arrivano con l’esperienza, pratica ma anche solo legata semplicemente al vivere. D’altronde, ci sono cose che impariamo subito e altre per cui occorre obbligatoriamente del tempo, così com’è giusto voler conoscere le cose ma a volte può essere meglio non venire a conoscenza della verità, perché quest’ultima può fare male.

Sono comunque tutte pagine appartenenti allo spartito della vita, che in Canola passano in rassegna con una delicatezza disarmante, arrivando ad allargare il concetto stesso di famiglia senza che alcuno possa sentirsi legittimato a fare mezza polemica, fino ad arrivare a quel campo - di canola per l’appunto - con il cielo blu a fare da soffitto e il mare all’orizzonte, per un nuovo, ed ennesimo, incontro immortalato che si fa arte, rimanendo impresso come puro spirito esistenziale. Una cristallizzazione di sgomenti ed epifanie, di abbracci che fermano il tempo, di smarrimenti che spengono la voglia di vivere e ricongiungimenti che scatenano i più naturali moti interiori.

Semplice e immacolata poesia della vita.

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