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Gli amanti del Pont-Neuf

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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La recensione su Gli amanti del Pont-Neuf

di Kurtisonic
7 stelle
Se si potesse oggi attribuire un attestato di continuità alla nouvelle vague francese, a chi riesce ancora ad interiorizzarne le linee guida, a chi ne ha accolto compiutamente le teorie visive più ampie, Leos Carax regista molto misurato nella sua produzione cinematografica costituita da una manciata di film in poco più di trent'anni non troverebbe altri competitori in merito, ma basta questo per farne un cineasta di culto? Che sia l'assenza che determina l'elevazione dell'artista a mito indispensabile, al centellinamento studiato della performance che con un marketing adeguato lo si impone all'attenzione come evento innovatore di cui si attendeva la genesi? Fortunatamente niente di tutto questo, anche se i suoi film piacciono di più ai critici, poi ai cinefili, meno che al grande pubblico che Carax ha ben raffigurato nel recente Holy motors come un inamovibile dormiente. L'imprevedibilità della messinscena, il ricorso ad un dialogo frammentato che sfiora la disconnessione visiva, l'artificiosità forzata dell'immagine, evidenziano quella mano personale dell'autore che manipola il materiale filmico ma dimostra anche che la modernità del suo sguardo è rivolta al recupero di un cinema che crede nella sua specificità artistica, nella convergenza verso un ideale punto d'incontro fra la finzione e la realtà dentro la vita quotidiana.  Gli amanti del Pont Neuf in apparenza sembra un manifesto barocco, con la sua storia tardo romantica dallo sviluppo melodrammatico. Ma se come detto il testo resta una sottile concessione dell'autore perchè i dialoghi fra protagonisti che sono emarginati sull'orlo dell'abisso, il comune spettatore non li ascolterebbe mai nella realtà, grazie al lavoro che fa sull'immagine, Carax raddoppia il senso del reale, attraverso un linguaggio estetico penetrante che arriva a colpire nel segno e a rendere accettabili le parole più ricorrenti, le frasi fatte, a trasferirle come senso comune di chiunque sia in grado di comprenderne gli effetti. Alex, giovane barbone che vive sul Pont Neuf parigino in corso di ristrutturazione e chiuso al traffico, insieme al più vecchio Hans, incontra Michèle, giovane studentessa di belle arti fuggita da casa e con un deficit visivo irreversibile. La disamina dei codici relazionali che vincolano i tre personaggi rappresenta l'ossatura di un sottotesto legato all'immagine, che sa parlare anche indipendentemente dall'ascolto, trasferendo in continue associazioni la striminzita capacità dei dialoghi con l'indispensabilità di vederne moltiplicare gli effetti in visioni che talvolta rischiano la stilizzazione. Più le sequenze appaiono costruite e artificiose, e maggiormente la vicenda prende, anzi si fà corpo, cresce visceralmente e affascina, se ne  comprende la sua veridicità. Che poi il regista si faccia prendere la mano e adoperi una ridondanza comunicativa sull'amore folle, sul senso della vita, sulla potenza dello sguardo, sembra sempre ricondurre a quello stesso punto di partenza sulla missione del cinema a cui egli si dedica. Il tempo dell'arte non sempre coincide con quello della vita ma è sempre possibile che si realizzi, che non venga meno però la capacità di guardarsi intorno, appunto, di svegliarsi. Affatto casuale la scelta della condizione sociale dei protagonisti, tanto ai margini quanto in realtà parte integrante di un tessuto comune universale, fragile, controverso, malinconicamente indifeso.

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