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Morto Stalin, se ne fa un altro

Regia di Armando Iannucci vedi scheda film

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La recensione su Morto Stalin, se ne fa un altro

di alan smithee
4 stelle

TFF 35 - CONCORSO TORINO 35

Ad inizio anni '50 Stalin continua la sua opera di diffusione del terrore tra la popolazione, ed ogni suo capriccio rappresenta un ordne prioritario. Come quello di far rieseguire un opera dal vivo in quanto nessuno si è preso la briga di registrarne l'esecuzione originale, piaciuta al dittatore. Consegnato dopo mille peripezie il disco, la pianista non si dimentica di inserirci una lettera in cui lo accusa apertamente di tutte le sue stragi ed uccisioni. Letta la lettera, Stalin muore di infarto.

Lo trovano i suoi fedeli del partito, e si innesca un elaborato e fazoso gioco al potere, alla successione, ove il più furbo non è mai quello che pare in lizza per sostituire il despota.

Ne esce un mondo di bassezze, giochi a tradimento, ove il potere è un'altra volta solo lo strumento per assicurarsi il dominio, la ricchezza, l'avere senza desiderare veramente, appagando la brama di voracità che rende l'uomo lìunico vero animale del creato.

Scritto dallo stesso Armando Iannucci, sceneggiatore e comico scozzese che tradisce evidenti origini italiane, The death of Stalin (il titolo italiano è un insulto all'intelligenza) è giocato sul ritmo della satira goluardica, l'umorismo british caustico e pungente sui luoghi comuni che accecano chi è ad un passo dal potere e deve districarsi e farsi valere tra gli ultimi sfidanti, risultando collaborativo e leale con gli stessi.

Grazie ad un cast che racchiude commedianti di gran razza (da Buscemi a Tambor, a Palin), il film di Iannucci tuttavia scade nell'incongruo già dal punto di partenza: sentire recitare in inglese attori inglesi o americani è naturale, ma non lo è se si parla della storia di una nazione, anche in toni apertamente satirici come in questo caso. Sarà coerente nell'ambito della produzione dell'autore, ma preso singolarmente il film pare un giochino ben costruito, forte di un gran cast di attori di razza (tra le donne una splendida Kurylenko e la folle figlia dello statista, resa bene dalla Riseborough)

E la caricatura politico-dittatoriale, se vogliamo proprio dirla tutta, raggiungeva ben altre sfumature e finezze con Mel Brooks protagonista e pur non regista di quel folle To be or not to be, in pieni anni '80, incentrato su un altro despota, ma ugualmente indicativo, solo per citare un esempio.

Pertanto ritmo sostenuto, gags ben orchestrate, ma il retrogusto di farsa organizzata da lontano rimane a rovinare i presupposti di un divertimento arguto dato per scontato.

 

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