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Piigs - Ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l'austerity

Regia di Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre vedi scheda film

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La recensione su Piigs - Ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l'austerity

di lamettrie
10 stelle

Un bel capolavoro. Uno dei film più interessanti della recente storia, in senso assoluto.

Il film è geniale anche per la riuscita e realistica commistione tra dimensioni macro e micro; e per mostrare come il micro, i mille e più micro, dipendono dal macro, che è uno solo, e sta nei vertici assoluti della finanzia mondiale. Perché tale vertice è uno solo? Per il fatto che questa ristrettissima oligarchia decide tutto: litigano certo tra di loro su aspetti minimi, ma sono compattissimi sugli obiettivi di fondo.  Ma si tratta comunque di poche migliaia di persone nel mondo, per la maggioranza sfornate dalle facoltà di economia e commercio, che non arrivano assolutamente a centomila sull’intero globo terracqueo, ma governano pressoché tutto su sette miliardi persone. Se è vera tale proporzione, si parla dello 0,0014% della popolazione che domina su tutto il resto. È come se, in un comune di 10mila abitanti, tutto fosse deciso da 14 persone, mentre le restanti 9.986 dovessero accettare supinamente le decisioni dei primi, i quali hanno questo vantaggio solo perché sono più ricchi del restante 99, 98%. Sono cifre da suffragio elettorale ristretto, in modo assolutamente impressionante: ma non sono quasi mai state così basse, neppure agli albori della concessione di tale suffragio; quindi si parla di ‘800. Evidentemente, al di là degli imbellettamenti di facciata, così opportunistici (che hanno loro permesso di travestirsi persino da partiti che avevano un’eredità di sinistra! Come si vede anche oggi in tantissime lande d’Europa, compresa la nostra), sono ancora loro che comandano; i 14 più ricchi su 10mila. Senza eccezioni: si tratta solo di grandissimi imprenditori, banchieri, quando si parla di coloro che decidono tutto su economia e diritti. E che ovviamente non si espongono in prima persona: riceverebbero giuste critiche, per conflitto d’interessi e certo non solo per questo, e quindi mandano avanti i prestanome: cioè i loro sguatteri, che sono i politici messi lì solo grazie ai soldi di quei pochissimi oligarchi, e le istituzioni da essi creati (FMI, BCE, WTO…).

Ma nella migliore tradizione dei prestanome, questi non possono mai dire ciò che loro sembra giusto dire in libertà; assieme ad alcune verità addomesticate, possono solo dire bugie, di quelle che creano disastri enormi, mica sciocchezze.

Se non vogliono più dire bugie di quel tipo, quella è la porta: la disoccupazione e la miseria li attendono. Disoccupazione e miseria che comunque possono essere tenute invece lontane, nel caso in cui si voglia continuare a essere collusi con questi, che il film mostra essere i più potenti della terra, e nel contempo dei veri criminali.

Vedendo il film, prima o poi sgorgano inevitabilmente pianto e commozione per i valori reali che vengono calpestati, esclusivamente in nome del profitto di pochissimi, i quali hanno sin lì lottato e vinto affinché l’etica non contasse nulla nella politica (mentre invece dovrebbe esserne l’unica guida). La commozione, in questa saliente opera d’arte che è Piigs, riguarda realtà, e vibrante verità umana. Si è trovato in Italia, con la cooperativa sociale, il migliore esempio tra le migliaia possibili.

Ma anche appare grande il livello della disamina macroeconomia (appaiono eccellenti figure di livello internazionale, come l’italiano Barnard…).  Appare serissima la disamina di ciò al cui cuore va il film: la denuncia di ciò che non funziona è inversamente proporzionale alla pubblicità che tale problema ha. Per dirla semplicemente: tanto più una cosa è rilevante per l’opinione pubblica (come ciò di cui qui si discetta in modo seria e competente), tanto più tale tematica è volutamente lasciata nell’ombra dai mass media, e quindi dai loro padroni (sarebbe meglio dire “mandanti”, forse). Invece, con lodevole e invidiabile coraggio, appare grande la denuncia degli scandali che ci colpiscono, perpetrati da chi vuole farsi invece riconoscere come unico nostro benefattore (in Italia tramite Corriere, Sole 24 ore, Repubblica, Rai…)

E’ il classico, e rarissimo, caso di documentario perfetto.

Opera di giornalismo di altissimo livello, perché richiede una conoscenza straordinaria, e perché va al cuore delle tematiche più importanti, all’interno della gerarchia delle cose rilevanti in merito alla felicità pubblica, e quindi dei diritti umani, cosa che è la stella polare cui un giornalista si deve attenere, indipendentemente da quanto può ricavarne, in termini di denaro e di carriera. E, va detto, chi scrive questa, meritatamente entusiastica, recensione, non ha preso una lira dagli artefici di questa opera d’arte, né tantomeno li conosce. Ero a Milano, nell’unico cinema lombardo che proiettava questo film, uno dei pochissimi cinema in Italia, credo meno di dieci nello stivale. Ho applaudito subito,e per primo. Non è certo un merito. Ma mi ha fatto riflettere il fatto che dopo di me abbiano applaudito in pochi, sul totale, con un applauso complessivamente freddo e poco partecipato della sala. Ciò è accaduto in un contesto dove pure possono aver raggiunto questo cinema di periferia, per questo film,  solo persone informate molto più della media. Nonostante ciò, questo fa pensare su questo dato: quanto la cultura seria, di cui si dice che Milano probabilmente è in media la maggior rappresentante in Italia, si nutra poco di cose serie, come queste che vanno a toccare le leve dell’economia, che effettivamente condiziona tutti in modo enorme, tranne il meno dell’1% che può permettersi di vivere di rendita, e non per meriti propri, ovviamente.  

Una cultura seria che ignora le cose serie: se questa accade nel migliore dei casi, figuratevi gli altri casi, per non dire i casi peggiori.

Perché, in questi casi, non è questione di sapere tanto per dire di saperne più di altri; qui la questione è di sapere  cose vere al fine di sapere cosa fare per contribuire nel modo migliore alla felicità propria e alla felicità di tutti, nella misura in cui queste possono coincidere. E questa misura non è totalizzante: ma è estremamente significativa. E, soprattutto, questa misura è sufficiente per dirsi indispensabile da conoscere, al punto che si pagano di tasca propria conseguenze tremende, tali da rimpiangersi sempre, se non le si vuole valutare in modo onesto e competente per quel che meritano.

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