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Una donna fantastica

Regia di Sebastián Lelio vedi scheda film

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La recensione su Una donna fantastica

di supadany
8 stelle

«Quello che non ti uccide, ti fortifica».

La morte non bussa alla porta. Quando è scoccata l’ora giusta, sopraggiunge senza preavviso e imprime il suo sigillo sulla vita dei tanti soggetti coinvolti, che passano dalle stelle alle stalle. Una transizione che prima o dopo tocca a tutti, ma con esiti diversi, in funzione della sensibilità del singolo e della sua condizione civile.

Chi si ritrova in una situazione di svantaggioso subordine, stretto da una tenaglia metaforica, privato anche della semplice presenza fisica per dare l’addio alla persona più cara al mondo, deve ricorrere a energie sconosciute, riuscire a sopportare comportamenti intollerabili, pensare a se stessa e comunque tributare un doveroso commiato. Per riuscirci, bisogna essere una donna fuori dal comune, una donna fantastica.

Marina (Daniela Vega) è una giovane transessuale che da anni vive al fianco di Orlando (Francisco Reyes), un uomo d’affari malvisto per questa scelta, considerata dalla sua famiglia una perversione. Proprio mentre stanno progettando un bel viaggio, Orlando accusa un malore e muore.

Oltre all’immensità di un dolore che toglie il respiro, Marina deve subire un’indagine della polizia, la perdita di equilibri conquistati nel tempo e soprattutto la collera della famiglia di Orlando, che la rinnega, intimandole di stare lontana da loro, di non presentarsi nemmeno al funerale.

Tra momenti di sconforto e scatti d’orgoglio, con un corpo che combatte ma che ha anche bisogno di liberarsi da un pesante fardello, Marina canterà il suo dolore e tutti dovranno ascoltarla.

 

Daniela Vega

Una donna fantastica (2017): Daniela Vega

 

Dopo aver seguito da vicino una donna matura e incredibilmente dinamica, obbligata ad affrontare una crisi proprio quando trova la felicità (Gloria), Sebastian Lelio amplifica gli effetti su corpo e anima, proponendo un processo di elaborazione del lutto che, oltre alle tappe di rito, stabilisce la sua architrave nell’annientamento della personalità, subita da chi, non essendo allineato ai costumi comunemente accettati e legiferati, di fronte alla perdita è messo a nudo.

Un meccanismo efficace per riaffermare l’importanza di distribuire con più attenzione i diritti civili sufficienti per non essere calpestati impunemente, ma anche per trasmettere uno spirito combattivo, che canta il suo dolore e insegue la sua traiettoria, anche di fronte alle umiliazioni più feroci.

Un componimento che centellina le parole, segue da vicino i movimenti di Marina e segmenta la spinosa progressione con alcuni estetismi allucinatori (il vento contrario che impedisce di camminare, un ballo in discoteca che diventa coreografia e l’incipit, che dalle cascate da sogno flette sul rosso di una stanza benessere), arrivando a sfruttare il dualismo sessuale come espediente narrativo (vedi incursione in sauna).

 

Daniela Vega

Una donna fantastica (2017): Daniela Vega

 

Proprio la sceneggiatura – premiata al Festival di Berlino 2017 – è un punto fermo, sul quale Sebastian Lelio forgia una dura storia di vita, che introduce progressivamente i componenti della famiglia del defunto per ricomporre l’intera visuale. Così, ingigantisce il macigno sullo stomaco della protagonista, un semplice essere umano che, nell’arco di poche ore, passa dalla passione alla tortura psicofisica, con il desiderio di nascondersi dal resto del mondo, ma anche la consapevolezza di non poter gettare la spugna, richiedendo con prepotenza un rispetto che la controparte richiede con vigore, senza avere intenzione di ricambiare.

Una crudeltà apodittica che può far perdere la trebisonda come nel pieno di una notte in discoteca, per un’opera di passione e dolore, di lotta e soprusi, d’affermazione (un canto liberatorio) e annichilimento (l’umiliazione di essere trattati come un abominio), conflitti non accantonabili, con un’espansione oltre il reale che ne arricchisce la portata.

Emotivamente sostanzioso, con una struttura consolidata e un grido di dolore che conduce sul terreno della riflessione.          

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