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Sotto gli ulivi

Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film

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La recensione su Sotto gli ulivi

di EightAndHalf
9 stelle

Realtà su -(r)- realtà. Kiarostami cerca di andare oltre, in continuazione, stratifica e stratifica sempre più per arrivare all'osso, per arrivare all'essenziale. Eppure ciò comporta appunto un lavoro e l'inizio di altri dilemmi, altre aporie, che però in Sotto gli ulivi scompaiono magicamente. Quello che rende questa sua trilogia (iniziata con Dov'è la casa del mio amico? e E la vita continua) straordinaria, però, è proprio il fatto che i vari elementi passano uno dopo l'altro con una fluidità che lascia esterrefatti. Per arrivare alla realtà più profonda i passaggi sono immensi, un labirinto, ma non c'è niente di pesante, niente di esagerato, niente di postmoderno. Realtà dentro altre realtà, realtà che si rincorrono, realtà che si scoprono. La realtà più "vera" (che c'è e non c'è, sbircia da dietro una fessura, e poi scompare, per riapparire in momenti imprevisti) non è la più semplice, ma la più complessa. Kiarostami gioca, ma lo fa in maniera leggiadra, come se il tutto fosse un suo pensiero dolce e armonico durante l'osservazione di un qualche paesaggio improvvisamente verde, fiorente. Un uliveto, un prato, due figure che camminano, un incedere che la dice lunghissima, e che comunica tanto, più di mille parole.

 

 

Un film sulla carta teorico, ma riguardo il quale le parole non possono dir nulla. Teoricamente, infatti, Kiarostami riflette sull'importanza della realtà, e su quello che della realtà la cinepresa può catturare. La sua è una ricerca, una ricerca continua, ma non è affannosa, non si accartoccia, non cappotta come una macchina di fretta (e di macchine, in Kiarostami, se ne vedono a bizzeffe), ma si adagia su se stessa. Anche i suoi personaggi cercano (la domanda del titolo del primo film è evidente, il protagonista del secondo altrettanto), ma la loro storia passa attraverso molte cose, molti eventi e molti personaggi (tutti, a loro modo, indimenticabili), e non si affannano mai, nonostante i limiti di tempo e i problemi di vita o di morte. Secondo i nostri standard, i personaggi di Kiarostami potrebbero essere considerati disposti su una realtà altra, fatta di calma e di fermezza, al contempo, ma anche di profonda filantropia (nonostante sottili ostilità, piccolissimi rancori, soprattutto nel primo film, che però è visto dagli occhi di un bambino [ancora più veri?]). La verità è che siamo in un'altra realtà, e Kiarostami ce ne consegna una parentesi, anzi, una parentesi dentro una parentesi dentro una parentesi, un po' come nelle espressioni algebriche, in cui più all'interno stanno le parentesi tonde, subito dopo, fuori, le parentesi quadre, e infine le parentesi graffe. Ma non c'è niente di geometrico, matematico, cervellotico, intellettualoide. E' un'espressione naturale, che scivola via riappacificandoci, infine, con noi stessi.

 

 

In cosa consiste Sotto gli ulivi? Narra di un regista, alter ego di Kiarostami, che riprende un altro uomo, protagonista di E la vita continua (e altro possibile alter ego di Kiarostami), che cerca il piccolo Babak Ahmadpur, protagonista del primo film. Insomma, una sorta di finto documentario sulla realizzazione del secondo capitolo della trilogia, e dunque un film metacinematografico su un film che a sua volta era metacinematografico. Ma, come si è detto, nessun tipo di confusione.

Preso da solo Sotto gli ulivi è uno splendido film realistico, semplice semplice, in puro stile Kiarostami. Ma esso va necessariamente preso insieme agli altri capitoli. Riprendendo all'inizio di questo film l'atto stesso di trovare facce buone fra attori non professionisti per E la vita continua (la versione realizzata dentro Sotto gli ulivi), Kiarostami dichiara di voler rivelare cos'è fare un film reale, in cui non si vuole far sognare, ma si vuole far guardare alla realtà. Questo si vede già dalla prima immagine, in cui l'attore protagonista si presenta, e dichiara di "interpretare" il regista.

 

 

Ma se andiamo a contestualizzare il tutto, ci accorgiamo per esempio di una serie di giochi che Kiarostami vuole creare per confondere realtà e finzione. Spesso gli attori non professionisti compaiono nel film con i loro nomi reali; gli attori che nel film interpretano una coppia sposata (come li si vede in E la vita continua)  nella realtà non sono sposati per differenza di lignaggio, ma lui vuole chiedere a lei, che cerca di ignorarlo, di sposarlo; e se tutta la scena che si realizza in Sotto gli ulivi è ripresa con un piano-sequenza (che in E la vita continua è sostituito da un montaggio discretamente serrato) tutto ambientato al piano di sotto di una casa, in cui due attori (il protagonista del secondo film, e l'uomo sposato suddetto) parlano fra di loro, nella realtà di Sotto gli ulivi Kiarostami sale, con il suo occhio "più vero del vero", a riprendere un piano di sopra che in E la vita continua non appare, e in cui la donna, di cui nel film appena citato si sente solo la voce, appare leggendo un copione. Kiarostami va oltre, spostando semplicemente lo sguardo. Ma quello che più elettrizza, oltre al finale (che mette i brividi, come in E la vita continua e come, soprattutto, in Dov'è la casa del mio amico?), è una scelta narrativa che, a ben pensarci, sconcerta.

 

 

Improvvisamente, in Sotto gli ulivi, appare il piccolo Babak Ahmadpur, cercato dal protagonista del secondo film e protagonista lui stesso del primo film. Nel secondo film era dato per disperso, qui lo si trova senza alcun tipo di problematica, anzi improvvisamente (un tocco di poesia subitaneo e splendido), e spesso sta dentro l'inquadratura immerso nell'indifferenza, nonostante sia il centro di tutto, il motore vero e profondo della pellicola (e delle pellicole). Una volta che la scena precedentemente raccontata finisce, la voce di un'assistente alla regia, che fa un po' la coordinatrice delle riprese, chiama lo stesso Babak con un altro bambino per ripulire il piano di sopra, quello in cui la donna leggeva il copione. E in quel terrazzo, che poi è il piano di sopra, appare di nuovo Babak, quello che il protagonista di E la vita continua sta cercando, quello che ha messo in moto tutto: lì, a pulire, ad apparire per caso, a non destare la curiosità di nessuno. Per cui il protagonista di E la vita continua, che cerca il bambino, nella realtà (di Sotto gli ulivi) ce l'aveva a un palmo di distanza. Gli schermi che si creano fra realtà e finzione sono spessi come pareti, distaccano mondi in maniera irriducibile, quasi straziante, non permettono rifrazioni. Eppure Kiarostami, cosciente di tutto questo, prosegue con le sue immagini discrete, pudiche, con i suoi campi lunghi, con alcune carrellate bressoniane (Hossein, il giovane attore che interpreta il marito, distribuisce in una scena il té a tutta la crew: non si vedono i volti, solo il vassoio che si sposta qua e là nelle sue mani). E si lancia, nel finale, come detto, in una scena indimenticabile che riprende un po' il finale di E la vita continua (per il campo lungo, e per il sentiero in salita a zigzag che deve fare Hossein per inseguire la sua donna), ma è anche espressione di una gioia massima, silenziosa, quasi addirittura mistica.

 

 

Dopo tale film, dopo tale trilogia, si può dire che il Cinema è l'arte di Chiunque.

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