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Coco

Regia di Lee Unkrich, Adrian Molina vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Coco

di MonsieurGustaveH
9 stelle

Miguel insegue un sogno e un idolo. Ma quanto possono essere legittimi i sogni? E, soprattutto, chi sono i veri idoli? Il viaggio di Miguel tra la vita e la morte lo porterà a riflettere sulle proprie priorità e a comprendere come spesso l’apparenza sia solamente un inganno.

NO CORTO, NO PARTY (?)

 

Pixar si presenta al cinema sullo svanire del 2017 con un film finalmente inedito, successivamente alla riproposizione del brand “Cars” con l'uscita del terzo capitolo della saga. Quello che immediatamente salta agli occhi è l'assenza – in gran parte dei cinema – del classico cortometraggio d'apertura, divenuto ormai tradizione anche per lo spettatore meno accorto.

Scelta quasi più sorprendente del non inserirlo volontariamente, corrisponde alla realtà: il cortometraggio, girato ed inizialmente confezionato dalla major insieme alla pellicola, è stato poi estromesso (quasi ovunque) dalla stessa a causa delle innumerevoli proteste mosse dai primissimi spettatori.

A quanto pare “Olaf's Frozen Adventure” – questo il titolo del corto – risultava eccessivamente prolisso (addirittura più di 20 minuti di durata) andando ad appesantire la fruizione di una “portata principale” per la quale si rischiava di compromettere interesse ed attenzione.

Straniante risulta inoltre il fatto che un film Pixar possa essere preceduto da un corto che - in tutto e per tutto – si colloca all’interno dell’universo dei classici Disney, a maggior ragione se si pensa che esso era stato semplicemente ideato come speciale televisivo atto a fungere da “preview” per il sequel del film a cui fa capo - ossia “Frozen” - previsto per il Natale del 2019.

Concludiamo con due interrogativi dicotomici: può dirsi quindi rimarchevole l’assenza di un corto Pixar? Certamente si; lo stesso si può dire, per contro, di un corto Pixar con protagonista Olaf, il “divertentissimo” pupazzo di neve di “Frozen”? Personalmente, non credo proprio. Come si suol dire, un colpo al cerchio e uno alla botte.

 

scena

Frozen - Le avventure di Olaf (2017): scena

 

 

“COCO”, UN CONSAPEVOLE PASSO AVANTI

 

Dapprima co-regista di “Monsters & Co.”, “Alla Ricerca di Nemo” e “Toy Story 2”, Lee Unkrich si afferma definitivamente come una delle punte di diamante dello studio d'animazione californiano nel 2010, realizzando un gioiello come “Toy Story 3” alla prima da (regista) solista. A partire dal 2011 - pienamente spalleggiato da un John Lasseter gratificato dall’eccezionale messa in gioco dei “suoi” giocattoli compiuta appena un anno prima - inizia a sviluppare “Coco”, progetto che vede come perno della vicenda “El dia de Muertos” (Il giorno dei Morti), festa tipica della cultura messicana: un contesto piuttosto inusuale recentemente sviluppato anche da Jorge Gutierrez con il suo “Il Libro della Vita” (2015), seppur con intenti totalmente differenti.

“Coco” catapulta immediatamente lo spettatore all’interno di un mondo peculiare e circoscritto, trattato però in maniera tale da farsi portatore di valori universali. In uno spaccato sociale ricreato nei minimi dettagli da un team di sviluppo fattosi carico di svariati sopralluoghi in Messico, la narrazione si focalizza sul percorso di Miguel, aspirante musicista di Santa Cecilia galvanizzato dall'idolo di Ernesto de la Cruz, il più celebre cantante - nonché attore – messicano di tutti i tempi (già in questo passaggio è possibile notare la geniale caratterizzazione di un personaggio che incarna perfettamente tutta la corruttibilità dell'ambiente dello spettacolo: de la Cruz possedeva realmente sufficienti doti attoriali o la sua carriera da interprete è scaturita semplicemente sull’onda del successo musicale?).

 

scena

Coco (2017): scena

 

Miguel vede duramente ostracizzato il proprio desiderio di ribalta da una famiglia tutt'altro che accondiscendente, dati i nefasti trascorsi: la bis nonna del giovane, Mamá Coco, fu abbandonata dal padre in età infantile proprio per il suo irrefrenabile desiderio di divenire musicante. La madre di Coco, determinata a dimenticare quell'uomo che tanto aveva amato ma che allo stesso modo l'aveva ferita, metterà in piedi quella che – fino al presente – sarà la proverbiale azienda di famiglia: un calzaturificio. L'unica carta fuori posto pronta a far cascare il castello è proprio Miguel, che di seguire le tradizioni (come rievocare i defunti donando loro ricche “Ofrendas”, ossia tributi principalmente alimentari) e di fare il calzolaio proprio non ha alcuna intenzione; a maggior ragione quando scopre che il suo fantomatico trisnonno musicista è proprio il leggendario Ernesto de la Cruz.

Seguire sommessamente i dettami famigliari, o imboccare la strada della ribellione per tentare la via del proprio compiacimento?

In corrispondenza di questo interrogativo, sfocia la profonda riflessione a cui ci porta il regista: quanto è importante (in)seguire i propri sogni? Quanto lo è in relazione al successo? Chi sono i veri idoli? Che cosa si cela dietro ad uno sfavillante sorriso di facciata?

Al giorno d'oggi la sconfinata diffusione di prodotti audiovisivi come Talent e Reality Show fissano costantemente l’ideale della massa verso uno smodato desiderio di grandezza, portato a culmine di una vita in cui i valori basilari dell'esistenza passano in secondo piano per fare posto all’apatia: in tale sistema si innalzano ad idoli totali inetti a dispetto di artisti o qualsivoglia individui realmente meritevoli di lode. Simbolo di tale concezione del mondo odierno è anche il maggior successo musicale di Ernesto de la Cruz, “Ricordami”, componimento originariamente intimista dedicato ad un affetto proposto come mero successo commerciale da un interprete senz'anima.

Fortunatamente però, nulla è mai totalmente bianco o nero e “Coco” è in grado di fornirci un quadro in cui sono infinite le sfumature di colore tra due estremi fatti di sentimenti e desideri, che possono armoniosamente coesistere se per essi si è in grado di trovare la giusta allocazione nella scala dei valori.

Infinite sono anche le sfumature di colore vere e proprie, che non cessano di riflettersi nelle pupille di uno spettatore che non può non rimanere estasiato: l'incredibile contrapposizione tra il tetro archetipo di un aldilà popolato da scheletri con la fastosità dei colori accesi che lo costellano, definiscono perfettamente un ideale di culto conciliatorio della morte, volto quasi ad inneggiare a nuova vita.

Proprio la morte ed il suo significato sono uno dei principali temi dell'opera, legati a doppio filo a quello del ricordo: fondamentale è la commemorazione dei propri cari per permettere loro di sopravvivere nelle menti delle generazioni future - e anche al di là di un ponte di brillanti petali di cempasuchil – in attesa di poter tornare in visita ai propri cari durante la festa dei morti.

 

scena

Coco (2017): scena

 

Dal punto di vista tecnico, è visibile una progressione continua e inarrestabile, indiscutibilmente valorizzata dal grande schermo: ogni singolo dettaglio vive di vita (animata) propria.

La prima parte risulta prettamente introduttiva ed è forse leggermente sbilanciata - in ritmo - se rapportata alla seconda, caratterizzata da un andamento forsennato rimpinguato da una serie di piccoli-grandi colpi di scena, talvolta anche inaspettati; senz'altro, comunque, l'attenzione non cala nemmeno per un frame. Questa è la riprova del fatto che l'animazione non è semplicemente un genere, bensì una tecnica al servizio del genere stesso: è l’essere film fantasy e noir, racconto drammatico e di formazione che permette a “Coco” di tenere ancorati alla poltrona anche i fruitori più maturi che vorranno coglierne il significato.

Da quanto enunciato finora, emerge senza dubbio quanto “Coco” sia tutt’altro che un film prettamente puerile: intellegibile a più livelli, offre un intrattenimento di altissima portata adatto a tutti, al contrario di diversi concorrenti che si limitano a proporre un’accozzaglia di gag infantili andando unicamente in contro alla volontà di divertimento “usa e getta” del bambino e, di riflesso, agli sbadigli dell’adulto (il buon Olaf precedentemente bistrattato è un personaggio anni luce avanti se messo a confronto di paccottiglia come I Minions).

Svariati sono poi i riferimenti – visivi e formali - alle altre pellicole dello Studio: senz'altro, il più encomiabile (quanto ben congegnato) è quello che costituisce l'escamotage con cui, sul finale, viene incastrato l'antagonista del film, che tanto ricorda quello utilizzato dal buon Mike Wazowski in “Monsters & Co.” per smascherare l’avido Signor Waternoose (è emblematico in tal senso che siano proprio le telecamere a svolgere tale ruolo rivelatorio).

Eccezionale risulta infine la colonna sonora composta da Michael Giacchino, per un film che ha solo apparentemente come tematica centrale la musica.

In conclusione, non si può che essere pienamente soddisfatti da un’opera qualitativamente eccellente e rivolgere gli ennesimi – ma sempre doverosi - complimenti alla Pixar, che ancora una volta è stata in grado di innovare ed innovarsi, fondendo la propria esperienza ad una costante volontà di progressione, lasciando il proprio pubblico conscio di quanto essa abbia ancora da dire sul fronte animazione.

 

 

locandina

Coco (2017): locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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