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L'affare della Sezione Speciale

Regia di Costa-Gavras vedi scheda film

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La recensione su L'affare della Sezione Speciale

di Peppe Comune
8 stelle

Agosto 1941, a Vichy, sede del governo collaborazionista del Maresciallo Petain. Durante un concerto di gala dove sono presenti tutti i membri dell’alta società francese, il capo dello Stato detta il nuovo indirizzo politico cui tutti devono adeguarsi: le democrazie parlamentari sono in agonia e per far si che l’ordine nuovo imposto dai nazisti regni per tutta l’Europa è necessario reprimere ogni forma di espressione di democrazia che ancora resiste. Sono soprattutto il ministro degl’interni Pierre Pucheau (Michael Lanslande) e il vicepresidente del consiglio Francois Darlan (Ivo Garrani) a farsi carico della messa a punto del nuovo regime fascista imperante in Francia. Tutto questo, insieme all’uccisione di un ufficiale della marina tedesca per mano di un gruppo di ribelli, rende necessaria la dura repressione dei reati politici per compiacere nel miglior modo possibile la sete di vendetta degli “alleati” tedeschi. Nasce così la Sezione Speciale, che in spregio alle più elementari regole giuridiche è chiamata a prendere delle decisioni con efficacia retroattiva. Vinte le resistenze del ministro della giustizia Joseph Barthèlemy (Louis Seigner) e superate le non poche difficoltà a trovare dei magistrati disposti a dare efficacia giuridica alle nuove disposizioni governative, la Sezione Speciale presieduta dal giudice Michel Benon (Claude Pìeplu) viene riunita per iniziare un processo farsa. Perchè il delitto compiuto dai ribelli esige la condanna a morte di sei persone, così, tra i condannati per reati minori si dovranno trovare i profili più adatti da consegnare alla ghigliottina.

 

 

“Dei tre film che ho fatto con Costa Gavras, non è un caso che proprio “L’affare della Sezione Speciale” sia oggi quello meno diffuso. Forse perché parla della Francia e della vergogna del collaborazionismo, una pagina storica che la memoria collettiva francese preferisce involontariamente dimenticare. È facile criticare il totalitarismo quando lo si denuncia all’estero, ma è molto più difficile denunciarlo a casa propria”. Questo disse Jeorge Semprum a proposito di “L’affare della Sezione Speciale” (premiato a Cannes per la migliore regia), terzo film (insieme a “Z.L’orgia del potere” e “La confessione”) scritto in collaborazione con Costa Gavras, un autore specializzato nel filone politico che ha dato il meglio di se nell’analisi filmica sulla violenza del potere. Infatti, il film è ambientato durante uno dei periodi più bui della storia francese, quando il governo collaborazionista di Vichy si piegò servilmente al dominio nazista sull’Europa arrivando a mostrare uno zelo nel fare le cose che gli stessi tedeschi guardarono con stupore. Come quando venne promulgata una legge antiterroristica con effetti retroattivi. Così, per apparire degli alleati fedeli della Germania di Hitler e mostrarsi duri e puri al cospetto degli apologeti della razza ariana, si faceva carta straccia del magistero di Montesquieu e si cancellava con un tratto di penna una premessa cardine di ogni ordinamento giuridico degno di questo nome. Si stava costruendo il “nuovo ordine mondiale” e ogni legittima dimostrazione giuridica veniva etichettata come una scocciatura che poteva essere messa all’angolo. Nulla si doveva frapporre tra la necessità di legittimarsi come degli alleati autorevoli e l’esigenza di mostrarsi autonomi nell’esercizio del potere. Era la ragion di Stato ad imporre che il realismo politico si adeguasse al corso della storia, era quell’alibi perenne a far dire ai gestori del potere (citando impunemente un motto elaborato durante l’esperienza della Comune di Parigi) che “quando il male ha ogni audacia, il bene deve avere ogni coraggio”. Insomma, occorreva condannare esemplarmente degli innocenti per salvarne altri dalla furia indiscriminata dell’esercito nazista. Questo era il dilemma apparente che incombeva sulla testa dei governanti francesi, la giustificazione vigliacca dietro cui nascondere la loro servile accondiscendenza ai voleri del più forte. Ecco allora l’istruzione di un processo farsa, dove dietro la parvenza di una “regolare” istruttoria processuale si palesava tutto l’ordine delle cose che i giudici della Sezione Speciale erano obbligati a difendere.

Il grande merito del film (per me il migliore di Costa Gavras insieme a “Missing.Scomparso”) sta nella puntualità con cui riesce a fissare la questione centrale di questa triste storia, ovvero, l’ambivalenza dell’atteggiamento dei francesi i quali, non potendosi comportare con onore, si mostrarono più disonorevoli di quanto loro richiesto, lasciando che in Place de la Concorde ritornasse a luccicare la lama affilata della ghigliottina. Il film ci restituisce bene il conflitto latente nell’animo dei francesi, quel sottile distacco da ogni azione che si stava compiendo come se ognuno lasciasse per sé la possibilità di prenderne le distanze al momento opportuno. Cosi come inquadra bene la contrapposizione tra chi si era adeguato senza farsi troppi problemi al nuovo ordine e chi, pur senza pensare di resistergli, non intendeva andare troppo oltre e minare le fondamenta di ordinamento giuridico di portata secolare. Costa Gavras fa solo un breve accenno all’azione dei ribelli, quanto basta per fornire le premesse essenziali di quella repressione del governo che doveva compiersi in maniera esemplare. Poi, come suo solito, si concentra analiticamente sul potere rimanendo rigorosamente legato al punto di vista di chi il potere lo detiene e arbitrariamente lo esercita. Come accade con il regime dei colonnelli in “Z. L’orgia del potere”, ad un quadro politico di stringente gravità, fanno da contraltare la presenza di situazioni ironiche che rasentano il grottesco. Un espediente narrativo che evidentemente vuole sottintendere come, alla seria complessità del quadro politico coevo, corrisponde una classe dirigente mediocre composta da persone che sanno solo adeguarsi a quella regola “macchiavellica” della ragion di Stato. Uomini che sanno dare e ricevere ordini senza mai mostrarsi capaci di autonoma volontà e che solo un concorso fortuito di eventi, uniti all’ignavia che caratterizza il loro carattere, ha posto nella posizione privilegiata di poter decidere della vita e della morte dei loro sottoposti. Sorretto da un parterre di attori variegato e di alto livello (Michael Lonslande, Louis Seigner, Ivo Garrani, Claudio Gora, Claude Pìeplu, Bruno Cremer, Jacques Perrin, Julien Bartheau), “L’affare della Sezione Speciale è un film che dimostra come la regia di Costa Gavras sia sempre concentrata sull’esercizio autoritario del potere, intenta a smascherarne tutta l’impalcatura politica che ipocritamente ne rende necessaria l’applicazione. Sempre con il pregio di conferire un ritmo serrato ad una narrazione che, altrimenti, risulterebbe soffocata da troppa (inevitabile) verbosità, e sempre col difetto più o meno accentuato di rasentare le derive tentatrici della retorica di maniera o del didascalismo spicciolo. Dall’equilibrio di queste caratteristiche di stile (chiamiamole così), Costa Gavras ha spesso fatto pendere la bilancia verso un esito positivo delle sue opere. A mio avviso, tutti i suoi film concentrati sull’analisi della violenza del potere (oltre a quelli già menzionati includerei anche “L’Amerikano”) meritano di essere visti e di essere riflettuti.

“I tedeschi volevano sei morti. Al posto dei tre “sfuggiti” alla ghigliottina, fucilarono tre appartenenti alla Resistenza. Ma i tre “sfuggiti”, così come gli altri condannati, furono giustiziati in seguito o morirono nei campi di concentramento. I Tribunali Speciali rimasero in attività per tutta l’occupazione. Dopo la liberazione nessuna sanzione grave fu presa nei riguardi dei magistrati che in essi avevano operato. Sempre la ragion di Stato……”

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