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Venni vidi e m'arrapaoh

Regia di Vincenzo Salviani vedi scheda film

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La recensione su Venni vidi e m'arrapaoh

di mm40
1 stelle

Disavventure di un quartetto di ragazzini, componenti di una band demenziale, desiderosi di perdere in qualche modo - qualsiasi modo - la verginità.

 

Un bel mistero, questo Venni vidi e m'arrapaoh: come sarà potuto venire in mente a qualcuno di girare un film simile? Erano altri tempi, d'accordo, era il 1984 e stiamo parlando di un'altra Italia, una società diversa da quella attuale, ottimista nel dna (perfino in maniera sconsiderata), utopistica negli obiettivi, spensierata per definizione, proiettata verso un benessere impossibile costituito più da apparenza che da realtà. Ed erano anche gli anni in cui imperversavano le 'canzonacce' scorrette degli Squallor, che nel 1983 uscivano con il loro disco più celebrato, Arrapaho, titolo anche di un'altrettanto leggendaria pellicola uscita l'anno seguente. Ma la loro demenza - nel senso più nobile, nella definizione coniata da Roberto Freak Antoni degli Skiantos - calcolata, chirurgica nel suo mix di volgarità gratuita, scorrettezze assortite e basi musicali impeccabili, non è neppure lontanamente paragonabile a quella presente in questo film, ritagliato attorno a una sceneggiatura senza idee con attori sostanzialmente impresentabili, pressochè tutti esordienti e pressochè tutti all'ultima prova su un set. A firmare il copione sono in due: l'aiuto regista Mario Bianchi e il regista Vincenzo Salviani, già impegnato due anni prima a dirigere Carmelo Zappulla in Pover'ammore; se quello calpestava le orme della sceneggiata napoletana, Venni vidi e m'arrapaoh (forse scritto così per non incorrere in denunce da parte degli Squallor?) pare piuttosto proseguire la strada tracciata dalla commedia sexy, scollacciata, pecoreccia - quella più miserrima, si capisce: neppure quella dei Banfi, delle Fenech e dei Vitali, bensì quella dei decamerotici - soffermandosi su scenette dalla dubbia comicità e siparietti erotici all'acqua di rose, ma insistiti e colmi di dialoghi porcelloni. Sì, porcelloni: licenziosi sarebbe dire poco, come testimoniano fedelmente le parole delle canzoni eseguite abbastanza a casaccio durante la trama dalla pseudoband protagonista del lavoro, fra le quali vale la pena citare una dai seguenti, immortali versi: "Come sarà / La prima che me la darà / La fica / La voglio piccolina, ma che scopi dalla sera alla mattina / Insomma che mi tiri, bella o brutta basta solo che respiri". Altro da aggiungere? Ma sì, un altro verso dello stesso brano: "Mi piace verginella / Che mi faccia i giochi a tre con sua sorella / La voglio tutta tosta / Che si becchi tutta intera 'sta supposta". Il calibro è questo e ben si adatta alla fattura sciatta e grossolana dell'opera. 1,5/10.

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