Regia di Joel Coen vedi scheda film
Ambientato in una distesa di neve secondo me indimenticabile per lo spettatore, il film più conosciuto dei fratelli Cohen insieme a “Il Grande Lewbosky” è una commedia noir che trasmette un enorme senso di tristezza per l’età cupa in cui purtroppo viviamo, ma che soprattutto sfata dolorosamente molti miti dell’America di oggi. Come in “A History of Violence” di Cronenberg, le colonne portanti della società tradizionale U.S.A. e il suo sistema di valori, ivi comprese le immagini tradizionali comunicateci dai grandi classici (la mogliettina amorevole, la famiglia unita, la giustizia infallibile ma “buona”) vengono messi a confronto con una realtà molto più violenta, in cui non c’è consolazione né giustificazione razionale. Quindi il film descrive tre categorie di persone: i violenti che devastano tutto ciò che incontrano, i mediocri che si trasformano in criminali e le brave persone che inevitabilmente vengono seppellite dalla violenza. Non basta il coraggio di una poliziotta incinta per salvare qualcuno, né il male raccontato nel film si fa problemi a fare effrazione in casa portando via la padrona che fa la maglia tranquilla. Nel mondo di oggi si può ironizzare e sbeffeggiare il male, ma non lo si può distruggere. Ogni speranza di farlo è solo un’illusione. Le famiglie si spaccano, i tutori della legge non sanno come difendersi dal male (impossibile non mettere in collegamento lo sceriffo Bell di “Non è un paese per vecchi” con la coraggiosa poliziotta della Mcdormand). “Fargo” è quindi un film quasi “pirandelliano”, in cui, estinta la possibilità di comprendere, non si può fare altro che compiangerci con l’aiuto dell’Assurdo. Si ride tanto, ma l’oggetto del divertimento è il tragico; non si può ridere di una donna che corre legata e incappucciata sulla neve, in ciabatte e piedi nudi, morendo di paura. Solo il male (simboleggiato per l’appunto da Buscemi e Stormare, eccellenti) può farlo, perché ormai non vede più la violenza come una cosa sbagliata, ma come un mezzo. Qui sta l’enorme esito tragico del film: si ride dell’orrore, si ride di ciò che può farci del male, si ride di una cosa moralmente inconcepibile. Ciò non può che invitare alla riflessione. La regia dei Cohen è stupenda, la sceneggiatura al massimo. Grande il cast, in particolare secondo me William H. Macy, ritratto di un mondo sporco e in decadenza. Senza dubbio un nuovo classico, ed un capolavoro postmoderno.
Cruda ed essenziale, da classico noir.
Impianto classico, quasi epico, per una storia così assurda e intimista. Alla prima lettura sembrerebbe puro sarcasmo, quasi parodia. Invece, per me, c’è anche un pizzico di sana tragicità. Il violino riporta lo spettato all’epoca d’oro della frontiera, e invece si assiste alla devastazione operata dal XX secolo. Voto: 9.
La mediocrità diventa orrore. Voto: 8
Il più cupo: violenza senza limiti, una bestia inarrestabile, prodotto della decadenza dei tempi. Voto: 9.
Uno dei migliori attori americani di questi ultimi dieci anni; anche lui simboleggia qualcosa: è l’Assurdo che alberga nel male, fa ridere ma intanto ammazza la gente. e dall’assurdo viene anche inghiottito, alla fine…voto: 9
Straordinaria: riesce a portare il suo personaggio ad un’altissima bidimensionalità in cui convivono da una parte l’icona del classico eroe americano, dall’altra il senso di ingenuità e di “vecchiume” che ormai circonda tali eroi. Se un tempo John Wayne era un diro tutto d’un pezzo, ma che si rendeva conto delle sue debolezze (“Sentieri Selvaggi”) ma il più delle volte le dimenticava (“I Berretti Verdi” e molti altri…) oggi l’eroe americano pensa di aver debellato tutti i mali e di poter vivere tranquillo, non rendendosi conto che oggi non è ieri, ma un’età ancora più feroce in cui non si deve abbassare la guardia. Voto: 9.
Stato di grazia, i Cohen sono due degli autori più grandi della generazione “postmoderna” americana.
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