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Carrie. Lo sguardo di Satana

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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La recensione su Carrie. Lo sguardo di Satana

di Raffaele92
8 stelle

Squarci di follia e bagliori di grande cinema si susseguono e si rincorrono in questo meraviglioso decimo film di Brian De Palma. Non riesce a toccare le vette del sublime come è capitato all’omonimo romanzo di King, ma ci si avvicina sorprendentemente.

All’inarrivabile introspettività e sensibilità del libro fa da contrappunto una regia che per De Palma è (come sempre nella sua filmografia) prima di tutto una questione di sguardo: lo sguardo dolcemente e al contempo spaventosamente assente di Carrie, gli sguardi degli altri su di lei, cinici e sprezzanti e dei quali noi – in quanto spettatori – siamo autori e complici, ma ciononostante disposti a schierarci indubbiamente dalla parte della vittima contro un mondo popolato di (quasi soli) carnefici.

Ma non mi si fraintenda: non si tratta di un film moralista volto a puntare il dito contro il bullismo, e tantomeno un’opera volta ad esasperare le possibili tragiche conseguenze di un bigottismo religioso qui particolarmente caricaturale.

“Carrie” è puro piacere del cinema, horror d’autore con la A maiuscola, maestria di messinscena esercitata con una sottile vena di sano autocompiacimento.

D’autore perché il regista assorbe il contenuto del libro per farlo proprio e riproporlo secondo i propri schemi; d’autore perché compie un miracolo di coraggio e audacia scegliendo di utilizzare lo split screen durante la famosa scena della furia della protagonista. Una sequenza terribile e angosciante proprio in virtù dello sguardo di Carrie, che rimane, “cieco”, torvo e assente, contribuendo a conferire alla sua furia una carica paradossalmente ancora più devastante.

De Palma fa parte di quella schiera di grandi registi che, tramite le proprie pellicole, non scelgono di comunicare qualcosa allo spettatore quanto piuttosto di “trasportarlo all’interno” di un flusso; che, in altre parole, non mirano a parlare di sé stessi o piegare il cinema a scopi didattici (intenti comunque per nulla riprovevoli), ma personalizzano prototipi preesistenti (chi, dopo aver visto tutta la sua filmografia, osa negare a De Palma il prestigioso titolo di vero grande erede di Hitchcock?).

Omaggia, sì (come accadrà poi con riferimento al gangster classico per quanto riguarda “Gli intoccabili”, 1987), ma con la consapevolezza che l’innovazione scaturisca dalla reiterazione: questa è la formula per creare e (tacitamente) imporre nuovi miti e simboli (“Scarface”, il quale – a prova della teoria appena esplicata – è per l’appunto un remake).

In questo senso “Carrie” ha rivoluzionato buona parte delle leggi che regolano l’horror, diventando un modello imprescindibile per il genere a venire.

Oltre a tutto quanto appena detto, quest’opera vive di un momento di cinema altissimo nella sequenza che vede Carrie tornare a casa dopo il massacro, camminare in una penombra ancestrale illuminata dalle sole candele piazzate per tutta la casa, con la superlativa colonna sonora di Pino Donaggio in sottofondo.

Un film prevalentemente dal fascino immortale, con una Sissi Spacek superba, brutto anatroccolo pronto a compiere una sconcertante metamorfosi di rara bellezza sotto i nostri increduli occhi in occasione del fatale ballo.

Non un’analisi sociale, né tantomeno un’opera politica, bensì un lungimirante film dell’orrore che è prima di tutto uno straziante dramma adolescenziale.

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