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Seven

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su Seven

di giansnow89
9 stelle

Una discesa nell'inferno dantesco del quotidiano.

Una non meglio specificata città statunitense è insanguinata da una catena di efferati delitti aventi come filo conduttore i sette peccati capitali. Un grassone, un avvocato profittatore, un parassita della società, una prostituta, una modella ossessionata dal proprio aspetto fisico. Sul caso indagano i detective Somerset (Freeman) e Mills (Pitt). I due realizzano la classica dialettica giovane-vecchio, impulsivo-riflessivo, spaccone-disincantato, sposato-solitario. In particolare il personaggio tratteggiato da Freeman è notevolissimo. Una vecchia volpe della polizia, a una settimana dal pensionamento, segnato da una carriera in cui ha assistito dalla prima fila alle peggiori mostruosità. Due forze conflittuali si muovono in Somerset: da una parte è in lui evidente la volontà di farla finita col lavoro, con gli omicidi, col degrado di una città in malora, di un mondo in malora; dall'altra, la paura mai confessata di quello che ci potrebbe essere di là del pensionamento, forse la noia, sicuramente la parola fine al tentativo (comunque vano) di migliorare la vita delle persone. Sopra i due detective si staglia il serial killer, un angelo della morte che si colloca al di sopra, al di fuori e al di là dell'autorità costituita, derivando la propria missione direttamente da Dio. John Doe (Spacey) è un signor nessuno, senza nome, senza un mestiere, senza nemmeno le impronte digitali. E' il signor nessuno che trasforma la storia. Si sostituisce a una giustizia inefficace e inefficiente e si fa giudice e carnefice dei peccati che insozzano il mondo moderno: l'ingordigia, la cupidigia, l'inoperosità, il desiderio malato, la vanità. Sposta l'attenzione dalla delinquenza esteriore, quella che tormenta le notti di Somerset, alla putrefazione interiore, più nascosta e più subdola. John Doe invita a non provare pietà per le vittime della sua follia, e incredibilmente ci riesce. Alla sua macabra scaletta mancano quindi solo due peccati: l'ira e l'invidia. In un finale che più nero non si può, verranno puniti entrambi.

 

Seven è un David Fincher prima di Fight Club. Se in Fight Club la violenza era un atto di ribellione contro la società dei consumi, un ritorno alle origini, all'ancestralità, al lato belluino dell'uomo, era uno scopo da raggiungere per autopurificarsi, in Seven la violenza è un mezzo. Non c'è compiacimento nell'impartirla, ma solo il senso storico di una missione. La città americana che fa da sfondo alle sue efferatezze è senza nome come l'assassino, è una città qualunque, è una rappresentazione del mondo, è LA città dei John Doe, perennemente sferzata da una pioggia malsana, mefitica, di rievocazione bladerunneriana. Inutile sottolineare la prova maiuscola di Kevin Spacey che con nonchalance alienante non si limita a interpretare la parte del serial killer: lui in quel momento è IL serial killer. Lo sguardo amorfo, perso altrove, la calcolata cadenza del discorso, la gestualità meccanica, tutto concorre a disegnare la realtà metodica del serial killer provetto. Freeman e Spacey sono davvero una gioia per gli occhi.

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