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I due volti della vendetta

Regia di Marlon Brando vedi scheda film

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La recensione su I due volti della vendetta

di spopola
8 stelle

Lo stile è vigoroso e il risultato affascinante con quei tempi distesi, inusuali per il genere, che sembra quasi vogliano avvitarsi su se stessi e richiamano alla memoria la lezione del miglior cinema giapponese. Molto intrigante la particolare relazione (che mi viene da definire edipica) di attrazione/repulsione che lega i due protagonisti.

Scritto da Peckimpah per una ipotetica rappresentazione filmica che avrebbe dovuto essere affidata a Kubrick (marginale collaboratore anche per il trattamento dello script) "I due volti della vendetta" rappresenta invece l'occasione per l'esordio nella regia (purtroppo unica e isolata prestazione in questo campo) di Marlon Brando che si assume in toto l'impegno dell'operazione, regalandoci un'opera strana, personalissima, aggressiva e profondamente masochista, spesso contortamente allucinata. Lo stile è un pò confuso, ma vigoroso, e il risultato spesso affascinante con quei tempi concisi, quasi rallentati, inusuali per il genere, che sembra quasi vogliano avvitarsi su se stessi e richiamano alla memoria la lezione del miglior cinema giapponese. Le ossessioni e le tematiche che caratterizzano il personaggio Brando, si ritrovano tutte, espresse o sottintese: la "particolare relazione" fra i due protagonisti, sospesa fra rapporto edipico (quasi di attrazione/repulsione) e scontro violento ed estremizzato di due personaggi contrapposti che culmina in una scena di puro sadismo in cui Karl Malden, il "padre", frusta selvaggiamente Marlon Brando, il "figlio", fino quasi a scorticarlo vivo, e poi gli spappola la mano destra col calcio del fucile; il tema della vendetta; la passione per le culture orientali che si riflette non solo nella storia, ma anche nella struttura visiva di molte sequenze. Il film, come tutte le opere eccessive e debordanti, soffre di squilibri evidenti e di una eccessiva lunghezza, nonostante gli interventi "riduttivi" della produzione durante il montaggio (dagli originali 282 minuti pensati da Brando ai 141 della copia distribuita in sala e tramandata ai posteri), un intervento "censorio" di dimensioni abnormi che contribuì senz'altro a rendere più evidente ed accentuata la discontinuità del risultato complessivo con alcuni passaggi di raccordo spesso un pò troppo nebulosi. Ma il risultato complessivo è comunque sorprendentemente maturo e coinvolgente, fra struggente lirismo istrionico (i numerosi piani spesso ricorrenti di un mare tumultuoso che si infrange sulle rocce), visionarietà esasperata (l'insolita ambientazione marina), violenze feroci (la scena della morte di Timothy Carey) e inaspettati personaggi che affollano la pellicola come quello davvero inusuale di Luise. Un western "fuori dalla consuetudine codificata", e forse proprio per questo ancor più fascinoso, perchè perfettamente in sintonia con il "mito Brando", che ancora una volta giganteggia sullo schermo fornendo una prova interpretativa come al solito un poco sopra le righe, ma di altissima levatura, alla quale rende bene la pariglia la altrettanto superlativa "esibizione" di un cinico e perverso Karl Malden.

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