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All Eyez on Me

Regia di Benny Boom vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su All Eyez on Me

di alan smithee
5 stelle

2Pac: vita breve ma intensa, morte veloce e violenta, e miracoli di un ragazzo pieno di argomenti da comunicare,di sofferenze e traumi da espellere, denunciare e scaricare sul mondo. Un individuo costantemente seguito da uno strascico di violenza che ha sempre rappresentato il contraltare di una personalità aperta alla cultura e alla comunicazione

Tra la East Coast e la West Coast degli States, la rivalità è sempre stata accesa su molto fronti. Tra gli ’80 e i ’90 certamente il dissidio tra i rapper di un lato e quello della costa opposta, ha assunto i toni di una vera e propria lotta all’ultimo quartiere. Tra i primi ricordiamo Puff Daddy ed il compianto Notorious B.I.G.: opposti per aspetto, curato e gradevole il primo quanto corpulento se non gigantesco l’altro; tra i secondi il gruppo N.W.A. (sta per Niggaz Wit’Attitudes e comprende principalmente rapper tipo Eazy-E, Dr. Dre, Ice Cube, MC Ren e DJ Yella) di Straight Outta Compton, e lui, il più noto e leggendario tra tutti, e quello che prima di tutti se n’è andato: TUPAC (o 2PAC) SHAKUR, 12 album pubblicati in 9 anni di carriera, di cui ben 7 postumi, tenuto conto che morì improvvisamente all’apice di un successo da 85 milioni di dischi venduti; oltre al cinema, la televisione, i video, i gadgets infiniti e quant'altro.

Pazzesco quanto corse, quanto smosse in termini di consenso (come pure di dissenso e prese di posizione contro gli scandali e  i crimini in cui fu coinvolto in quei pochi concitati anni che non lo fecero raggiungere nemmeno la maturità) come parimenti folle ed esagitata fu la sua esistenza, tutta alti e bassi, nobili intenzioni, discorsi inneggianti la pace, citazioni di alta letteratura, versi d'amore e poi, tutto allo zenith, coinvolgimenti in reati e sparatorie, violenze ed estorsioni legate alla sua militanza nella discussa e controversa casa discografica Death Row, che lo ha attratto a sé in modo tentacolare, come una famiglia di quelle alla "cosa nostra", senza più lasciarselo sfuggire, nonostante le reali intenzioni del rapper di uscire allo scoperto e procedere la sua strada (tra musica e cinema, con ambizioni impellenti di passare alla regia) in totale autonomia.

Il film profondamente documentato di Benny Boom, si concentra e sviluppa sotto forma di un biopic completamente e saldamente attaccato alla figura contraddittoria e controversa dell’artista, per l’occasione reso molto bene – grazie anche alla straordinaria somiglianza fisica – dall’attore Demetrius Shipp Jr.. E ci racconta in modo piuttosto particolareggiata i termini e le caratteristiche di questa vera e propria guerra tra le due opposte fazioni geografiche del mondo del rap, da sempre nato e legato alla strada, alle esperienze drammatiche di vita di una comunità, quella rigorosamente nera, che ha vissuto e vive ancora oggi in parte i disagi di una sperequazione sociale decisamente più drammatica nei quartieri ghetto delle periferie cittadine fino a tutti gli anni ’90.

Da questi disagi, dalle drammatiche lotte tra band, dalla vita dedicata allo spaccio e all’attività illegale del proprio clan di appartenenza, sono nate spesso le ispirazioni dei rapper che hanno in qualche modo celebrato questo disagio componendo un nuovo modo di intendere la poesia, il poema, adattato ai ritmi vorticosi e cadenzati del genere, ed ispirato alla vita di strada.

Tupac canta tutto questo, con ambizioni da attivista che lo rendono una figura ancora più controversa dei suoi colleghi, e del suo rivale per eccellenza, morto poco dopo pure lui in circostanze violente, Notorious B.I.G.: Shakur predica la libertà di razza e di religione, e poi si fa arrestare per violenza sessuale (ma viene scagionato, gridando al complotto), urla contro la violenza e poi partecipa a sparatorie e risse per regolamenti di conti, prendendosi anche ben 5 proiettili in corpo, e sopravvivendo: tale figlio, tale madre, che esce di galera col pancione in evidenza e tuona contro le ingiustizie perpetrate alla sua figura e alla sua razza, e poi vive e frequenta un uomo che predica come un santone e sopravvive rapinando banche, divenendo presto ricercato dall’FBI.

Il film non dimentica nulla, nemmeno l’amicizia vera, sincera, ricambiata, candida ed asessuata con Jada Pinkett (futura attrice e moglie di Will Smith) ai tempi dell’università, i problemi di droga della mamma del cantante, la fuga del figlio in California per sottrarsi al pedinamento delle forze dell’ordine e ai pericoli e le incognite derivanti della tossicodipendenza materna: rispondendo a questi drammatici stimoli con la forza di una poesia che da tempo, e da ragazzo istruito, sapeva tirar fuori dalle situazioni e dalle preoccupazioni, decidendo tuttavia di esprimerla attraverso il lato ribelle e incontenibile di se stesso, attraverso un mezzo espressivo più consono ed efficace come il rap, in ascesa proprio in quella metà degli ’80.

Il problema più evidente e fastidioso di questo accurato biopic - che in Italia si è deciso di distribuire, con una certa coerenza e tattica commerciale, attraverso la formula dell’evento, rimanendo in sala solo dall’8 al 13 settembre, i giorni esatti dell’agonia del cantante, dal momento in cui fu vittima dell’agguato a Las Vegas di ritorno da assistere ad un match di pugilato di Mike Tyson, al giorno del decesso in ospedale – e che i dialoghi, spesso quelli inerenti la famiglia e in particolare la madre del cantante, sono molto, troppo infarciti di enfasi, prolissi e sentenziosi da risultare spesso inascoltabili tanto risultano faziosi e fuori luogo.

Posto che sono sicuro che ognuno dei personaggi, anche quelli minori, ritraggono i rispettivi reali alter ego e i relativi tratti di ognuno di essi sono certamente frutto di ricerche documentate, sarebbe stato certamente più di buon gusto e salutare per l’economia qualitativa del film evitare certe manfrine, certi idilliaci discorsi materni legati alla necessità di far prevalere la mente sul braccio (armato); meno altisonanti citazioni shakespeariane, più coerenza alla brutalità della strada, che interviene in modo troppo antitetico ed irruente rispetto alle buone maniere e ai bei discorsi alti in cui spesso il film si perde senza ritegno.

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