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The War - Il Pianeta delle Scimmie

Regia di Matt Reeves vedi scheda film

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La recensione su The War - Il Pianeta delle Scimmie

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

The War - Il Pianeta delle Scimmie (2017): locandina

 

 


Ape-pocalypse Now.

L'anima della scimmia Cesare – divorato dal famelico conflitto tra abbracciare pienamente la propria umanità ed essere imprigionato da un odio cieco e furioso («adesso parli come Koba», lo ammonisce il fido Maurice) – è il pulsante, profondissimo cuore di tenebra di War for the Planet of the Apes.
Guerra.
[uomo-bestia; sopravvivenza-evoluzione; superbia-natura; individualismo-collettività]
Terzo, potentissimo atto di una serie dall'inesorabile, sensazionale crescendo.
Poderosa allegoria sul male/sui mali degli uomini, vivo ritratto di un universo (fisico-spirituale-socioculturale) alla deriva – prossimo a farsi inghiottire dal buco nero degli abomini commessi in nome di una virulenta arroganza senza fine –, stratificata e complessa lettura introspettiva: l'esplorazione in territori melmosi e oscuri – ma che contengono (ancora) fulgidi spiragli di luce – non può che passare attraverso la più nobile e violenta e pura e sporca delle arti.
Una ferina battaglia dal primitivo candore, dalla dolce, lacerante ineluttabilità di conseguenze e azioni inevitabilmente orribili, dalla cruda rappresentazione contenuta in dimensioni spaziotemporali splendidamente antiretoriche (e antispettacolari, in senso hollywoodiano …), dallo straordinario, concreto portato teorico: il senso ultimo e definitivo non risiede né in chi ha cominciato per primo né in quali saranno vincitori e sconfitti bensì nell'aver attraversato tutti gli stati della psiche.
Che sia alterata da una lucida, malvagia, ossessiva follia come nell'esaltato Colonnello McCullough (interpretato da un sublime, kurtziano Woody Harrelson), oppure obnubilata da sordi(di) sentimenti di vendetta come per il ferito nell'intimo Cesare (il terribile Koba gli compare in tormentose allucinazioni, angosciose e rivelatrici), o ancora cancellata da codardi, stupidi istinti (il drappello di soldati e primati traditori, trasformati in “asini”, sotto il comando del Colonnello) o infine irradiata da lampi di genuina umanità nei volti e nei comportamenti di Lake, del figlio di Cesare, Cornelius (ehm …), e nella bellissima bambina (“Nova”) che ha «qualche problema»: squarci aperti su corpi infetti e infettati, su occhi dalla penetrante espressività, su animi dilaniati, su una galleria di personaggi e personalità dalla credibile complessità (non ultimo Bad Ape, figura emblematica dell'evoluzione delle cose nonché portatore di un sano senso dell'ironia).

scena

The War - Il Pianeta delle Scimmie (2017): scena

Woody Harrelson

The War - Il Pianeta delle Scimmie (2017): Woody Harrelson

Amiah Miller

The War - Il Pianeta delle Scimmie (2017): Amiah Miller


È «Guerra (santa)».
L'azione passa dal più cruento degli atti (uccisioni di massa e agguati: fiotti di flotti, corpi smembrati, teste rotolanti) alla devastante bellezza di una Natura incorniciata in bianchissime nevi e maestosi fondali di montagne e giungle, dalla più pura manifestazione dell'odio (il Colonnello, i suoi “sacrifici” innominabili e le sue disturbanti confessioni: da brividi il confronto tra Cesare e il barbaro ufficiale) alla tenerezza infinita di un momento e di uno sguardo (ce ne sono molti: Nova-Maurice, Cornelius-Cesare, Nova-Cesare, Bad Ape e l'improvvisa compagnia dopo anni di solitudine), dalla carica adrenalinica e (sceno)graficamente spettacolare di tumultuosi scontri bellicosi alla agghiacciante condizione in cui sono tenute le scimmie nel fortino arroccato di McCullough che evoca i campi di concentramento.
Il lavoro di autori e regista (ancora, fortunatamente, l'eccellente Matt Reeves, che mette pure mano allo script: altro che quello stupido rumorista di Bay, esaltato da certa critica “illuminata”) rivela un'impressionante capacità di scavare sotto la superficie scorticata delle cose, di incidere le carni infettate che corrodono l'uomo dall'interno e che esplodono in tutto il loro fetore in azioni immonde, di scrutare intensamente oltre le vette dell'accademismo e della grandiosa spettacolarità (inespressiva, inerte) di effetti e meccanismi estetico-narrativi mandati a memoria.
La messa in scena è un felicissimo (e dannatamente personale) connubio in cui epica coppoliana, senso della tragedia shakespeariano, respiro e umanesimo malickiani e istanze bibliche (magnifico il contrappasso riguardante il Colonnello; la valanga è un diluvio universale e la Natura – gli alti alberi – l'Arca dalla quale i sopravvissuti potranno continuare l'esistenza) figliano uno sguardo necessario e autentico, una sensibilità in grado di (r)accogliere etica e materia di un genere sempre più uguale a sé stesso, in progressiva, irreversibile putrefazione.
Il finale – dopo un sacrificio scritto e atteso – non può che essere la visione di una nuova terra.
Un Nuovo Mondo.


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