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David Lynch: The Art Life

Regia di Jon Nguyen, Neergaard Holm, Rick Barnes vedi scheda film

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La recensione su David Lynch: The Art Life

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

David Lynch: The Art Life (2016): locandina



Comprendere l'universo complesso, multiforme, "altro" di David Lynch non è, concretamente, possibile (né immaginabile). David Lynch: The Art Life, documentario pensato e realizzato da Jon Nguyen, Rick Barnes, Olivia Neergaard-Holm a partire dall'ultimo capolavoro presentato a Venezia dieci anni fa, INLAND EMPIRE, riesce, se non in un'esplorazione impossibile, quanto meno a (farci) entrare in una dimensione di rara intensità. Fisica, mentale, emotiva. Intima. Si narra -, si mostra - al lavoro sulle sue creazioni, mentre fuma, guarda in camera, sorride, guida, gioca con l'ultimogenita Lula Boginia (cui il film è dedicato) -, (si) ricorda. Frammenti di passato che colorano le idee dal quale sono scaturiti e scaturiscono le sue opere; ed infatti, disegni, composizioni, quadri, esposti e sovraesposti lungo tutta la pellicola, ricalcano esperienze fissate nel tempo e nella mente. Alla sua maniera (visioni, sogni, paranoie, suoni). Infanzia, adolescenza e giovinezza: ovvero il ritratto in divenire di un uomo nato e cresciuto fuori posto, pur legato a una famiglia bellissima, che si scoprì Artista. Che, ad un certo punto, capì che la sua sarebbe stata una Vita dell'Arte: bere caffè, fumare sigarette e dipingere. Naturalmente un percorso irto di difficoltà ma anche ricco di incontri determinanti e conflitti rilevanti (il padre, la "malvagia" Philadelphia, la solare Los Angeles), raccontato sempre in prima persona con tocco felicemente inedito: autoironico, commosso, sincero (e no: nemmeno un accenno che sia uno alla meditazione trascendentale); il suo nudo esporsi è un diario che si sfoglia avidamente ma col pudore e l'accortezza che si riservano solo ai grandi. Come solo i grandi sanno far frutto di errori anche banali, grossolani (il girato di una pellicola che riproduce in loop solo inutile sfocamento) tramutandoli - per mezzo di un'impressione che si forma sotto strani stati di idee e associazioni - in un passo successivo decisivo. Dal «dipinto che si muove» il preludio all'approdo - naturale, inevitabile sebbene certo non programmato né previsto - al sondare e fare propri altri mondi, formati, espressioni, suggestioni. Il Cinema. Scene tagliate di The Alphabet e The Grandmother che si sovrappongono alla confessione, i momenti bui, gli anni duri e belli trascorsi nelle stalle dell'American Film Institute da cui sarebbe nato, anni dopo, Eraserhead, primissimo titolo cult della galleria personale di un Genio. Un doc, quello realizzato dai tre registi-confessori-assemblatori di un universo impossibile e unico, costruito non scimmiottando Lynch ma abbracciando in pieno il suo flusso ipnotico e folle di idee, la sua poetica aliena e indecifrabile fatta di suoni e luci, ombre e colori, immagini e sublimazioni, stati onirici e dimensioni dell'altrove, (r)umori industruali e musiche mesmeriche (impiegati brani dai suoi dischi solisti, tra cui la stupefacente The Night Bell with Lightning, tema ricorrente e posto in chiusura), inquietudini ed eccessi, influssi pittorici e rappresentazioni surreali. Non ci "spiegherà" l'Artista (e sarebbe un grave dellito anche il solo pensare di farlo), David Lynch: The Art Life, ma ci permette di conoscere un po' l'Uomo dietro la sua Arte. Splendido. E prezioso.






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