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Quiz Show

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su Quiz Show

di degoffro
8 stelle

Racconta Robert Redford: “Una volta partecipai anch’io a un quiz show. Mia moglie era incinta di quattro mesi, non avevamo un dollaro in tasca e avevo sentito dire che pagavano 75 dollari a puntata. Mi presento e, alla fine, come compenso, mi danno una canna da pesca. No, no, protesto: dove sono i miei 75 dollari? Eccoli qui, mi dicono: la canna da pesca vale 75 dollari. Andai via con la canna da pesca sottobraccio e in testa la convinzione che era tutto un imbroglio. Quando scoppiò lo scandalo di Van Doren non ne fui affatto meravigliato.” Partendo da questo aneddoto Redford, grazie alla compatta e solida sceneggiatura di Paul Attanasio, tratta dal libro “Remembering America” di Richard Goodwin, pubblicato nel 1988, ha realizzato il suo film su “come l’America ha perso la propria verginità”. “Twenty One” era nell’America degli anni cinquanta il quiz che catalizzava l’attenzione di quasi cento milioni di telespettatori: persino le suore si attaccavano davanti al televisore per assistere a quella specie di “Lascia e raddoppia”. Campione da diverse settimane è Herbert Stempel (grande John Turturro, perfetto nei panni di “un ebreo noioso, con l’aria da cane bastonato nel quale la gente può facilmente identificarsi”). Un uomo qualunque, espressione lampante della possibilità concessa a tutti di diventare qualcuno: “anche tu puoi arricchirti” è il motto del programma. Il calo degli indici di ascolto però spinge i produttori, su pressione dello sponsor del programma (piccola partecipazione per il regista Martin Scorsese) a fare in modo che Stempel perda: “un ebreo con i capelli dritti non può essere preso a modello dai bambini”. Charles Van Doren invece (l’ottimo ambiguo e sottile Ralph Fiennes) è un distinto professore di inglese della Columbia University, figlio del celebre poeta Mark Van Doren (strepitosa partecipazione di Paul Scofield, l’unico personaggio davvero positivo del film). Charles quasi per gioco decide di partecipare a “Twenty One” e, dopo un incontro “chiarificatore” con i produttori del programma, complice “la promozione della causa dell’istruzione”, come gli viene fatto credere, accetta le regole del gioco. Nella puntata fatidica Stempel cade su una domanda davvero semplice: Quale è il film che ha vinto l’Oscar nel 1955? Invece di “Marty, vita di un timido” Stempel risponde “Fronte del porto”, lasciando campo aperto a Van Doren, per il quale inizia un’avventura che durerà quattordici settimane, guadagnando cifre astronomiche, ma soprattutto fama, gloria, popolarità: tutto ciò che Charles ha sempre desiderato. La gente lo segue per scoprire “quale cibo prende per il cervello”, “ha ricevuto 11 proposte di matrimonio”, non riesce più neanche a fare una telefonata da una cabina pubblica, ha il vento in poppa, si pavoneggia. Stempel però, per il quale “perdere fa parte della storia della sua vita” non riesce “ad accettare 70.000 dollari per essere umiliato”, è ossessionato dall’idea di apparire in Tv, e viste le reticenze e i silenzi dei produttori, che non mantengono quanto gli avevano promesso, decide di denunciarli sostenendo che domande e risposte erano concordate e che l’intero show era un colossale imbroglio per tenere alto l’indice di gradimento. L’innocenza di un paese viene messa a dura prova: quello che sembrava “trasparente come l’acqua” in realtà è inquinato e ingannevole, l’ingenuo entusiasmo di una intera nazione subisce un intollerabile e inaccettabile tradimento. Il caso suscita l’interesse di Richard Goodwin, un avvocato che era “il primo nel suo corso alla facoltà di giurisprudenza di Harward”. Goodwin inizia un’indagine appassionata e decisa, volta ad evitare l’insabbiamento cui tendono i produttori dello show. Nonostante Charles, con il quale ha nel frattempo stabilito una relazione di amicizia, voglia fargli credere che la sua è una caccia alle streghe, Richard è convinto di dover continuare su quella strada: “l’insinuazione è un veicolo per dare corpo ai fatti” per cui bisogna aprire le porte “della più grande aula che si trova al mondo: la Tv”. Giunge così a coinvolgere la Nbc e l’Associazione Farmaceutica sponsor del programma. E anche Van Doren, fino ad allora rispettabile e stimatissimo uomo di cultura, di fronte all’alternativa di “fare una dichiarazione di innocenza da parte di chi non è accusato è affermare la propria colpevolezza” e confessare davanti alla Sottocommissione per la Sorveglianza Legislativa le proprie responsabilità, opta per questa seconda possibilità, riconoscendo di “essere un bambino che si rifiuta di ammettere un fatto, nella speranza che sparisca. Ho sempre recitato un ruolo, appollaiato sulla vita, senza mai calarmi nella sporcizia per costruire: ho volato troppo alto con ali fragili, prestate da altri. Ho avuto tutto troppo facilmente.” Una confessione che suscita la stima di alcuni, ma non di tutti i giudici per il coraggio e la fermezza morale con cui è stata fatta. Redford realizza un film politico rigoroso, morale, equilibrato, ironico (“Washington è una palude che ha scambiato la malaria con la politica”), incisivo e concreto, nel migliore stile del cinema di impegno civile degli anni settanta: un feroce ed intelligente atto d’accusa non solo nei confronti della televisione, ipnotico medium falsificatore della realtà, ma anche nei confronti dei concorrenti complici che hanno accettato di vincere con l’inganno e l’imbroglio. In particolare Redford più che nei confronti del poveraccio personaggio di Turturro, punta il dito verso Van Doren, uomo di prestigio che ha venduto anima e cultura per denaro e popolarità, infangando anche il nome e la serietà del padre, raffinato ed elegante poeta, il solo che considera la televisione un mezzo inutile, noioso e nemico (grande e toccante la sequenza in cui il figlio confessa al padre la sua truffa). Il finale amaro e desolante però non lascia speranze: “Dovevamo inchiodare la Tv: è invece la Tv che inchioda noi” dice Richard. In fondo “la nave affonda, ma i topi restano”, pronti a dare al pubblico quello che vuole. Forse il vero perdente è proprio il pubblico: derubato di un sogno. Quattro nominations all’Oscar (per il miglior film, miglior regia, migliore attore non protagonista Paul Scofield, miglior sceneggiatura non originale), in concorso anche al Festival di Berlino.
Voto: 8

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